
41 bis, “costrizione” per legge
Dalle pagine di questo settimanale il nostro direttore ha più volte sollevato coraggiosamente il tema del 41 bis. La discussione su questo provvedimento ha spesso sofferto di limiti “precauzionali”. Il tema si presta a facili speculazioni populiste, che sino ad oggi solo una piccola pattuglia politica trasversale è riuscita a superare. Il punto dirimente è quello che focalizza l’attenzione sul concetto di umanità. Siamo sicuri che l’applicazione di questa norma non vada, di fatto, a sopprimerla? Dopo l’approvazione alla Camera, la legge dovrà passare nei prossimi giorni al vaglio del Senato. Questa volta ci troviamo di fronte non solo alla proroga di un provvedimento eccezionale e temporaneo, ma ad un regime che viene reso definitivo. In commissione giustizia tra l’altro il relatore ha argomentato il nuovo testo parlando di «finalità rieducativa finalizzata al pentimento». In poche parole il 41 bis viene utilizzato per esercitare una pressione sui detenuti con lo scopo di spingerli alla collaborazione. Questa forma di “costrizione” è però espressamente vietata da diverse convenzioni internazionali per i diritti umani. Una delle “raccomandazioni” suggerite dalla Comunità Europea, è proprio quella di non utilizzare questo provvedimento come supporto investigativo. Se lo scopo della pena non è la vendetta bisognerebbe chiedersi, poi, che senso hanno certe restrizioni. In alcuni carceri, ad esempio, chi sta in regime 41 bis rimane sempre con la luce accesa, notte e giorno; i colloqui (uno al mese) si svolgono in una stanza attraversata da un vetro divisorio fino al soffitto. I figli dei carcerati possono toccare i padri solo se hanno un’età inferiore ai 12 anni, dopodiché devono limitarsi anche loro al colloquio tipo acquario. Ma quali sono gli obiettivi di queste limitazioni? In un paese civile, la carcerazione dovrebbe rivolgersi al detenuto con lo scopo di produrre recupero e reinserimento sociale. è questo il motivo che ha spinto a cancellare la pena di morte.
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