Berlusconi si appellerà alla Consulta. “L’idea Violante” e il busillis giuridico

Di Matteo Rigamonti
28 Agosto 2013
Il ricorso alla Corte Costituzionale, secondo i giuristi, permetterebbe al Senato di evitare di incappare in un conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato. L'ex premier si appellerà alla Corte europea dei diritti dell'uomo

Tutto aperto nella partita per il voto sulla decadenza di Silvio Berlusconi da senatore. A meno di due  settimane dalla convocazione della giunta che dovrà decidere sull’eventuale ineleggibilità dell’ex premier, condannato con sentenza definitiva per la vicenda Mediaset, non si può escludere ogni pista per mantenere l’agibilità politica.
A maggior ragione dopo che, come scrive il Corriere della Sera, «dal Quirinale filtra la voce secondo cui il presidente della Repubblica (Giorgio Napolitano, ndr) avrebbe “letto con attenzione” e “apprezzato” l’intervista rilasciata due giorni fa da Luciano Violante» in cui l’ex presidente della Camera «aveva delineato margini (“È legittimo”) di un possibile ricorso alla Corte Costituzionale».

UNA DECISIONE NON INQUINATA DALLA POLITICA. È un’ipotesi, quella del ricorso alla Suprema corte, che incontra l’appoggio del costituzionalista Andrea Manzella. «È meglio trasferire tutto, tout court ad un giudice terzo e indipendente: la Corte Costituzionale». E aggiunge: «La Corte Costituzionale deve prendere una decisione di tipo giuridico, non inquinata dalla politica. Non si può scaricare sul Parlamento una crisi di questo tipo che è giuridica nei suoi termini più nitidi».
Secondo Manzella non si tratterebbe di quello da più parti definito come un «quarto grado di giudizio», ma piuttosto di un «quarto livello di decisione». Infatti, «non è basato sul principio di legalità, ma su altri principi costituzionalmente tutelati. Come il principio di integrità delle assemblee parlamentari, dell’indipendenza del Parlamento e della divisione dei poteri che verrebbero in gioco sempre che la giunta prima e l’assemblea poi, decidano di integrare il contraddittorio». Esiste, infatti, l’articolo 3 sul principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, ma «vale anche il riconoscimento del diritto per i senatori di difendersi di fronte a ipotesi di decadenza».

RICORSO A STRASBURGO. Ad alimentare le speranze di Berlusconi e dei suoi è anche il parere «pro veritate» scritto dai costituzionalisti di area e non, Beniamino Caravita di Toritto, Giuseppe de Vergottini e Nicolò Zanon, che sarà presentato in giunta. Si tratta di uno dei sei «pro veritate» allegati da Berlusconi alla sua «memoria difensiva» presentata in giunta, dove l’ex premier annuncia che farà ricorso a Strasburgo alla Corte europea dei diritti dell’uomo per violazione dell’articolo 7 della Carta dei diritti dell’uomo.
Parere che contiene dubbi sulla legittimità costituzionale della legge Severino, votata dalla maggioranza mentre infuriavano le polemiche sulle cosiddette “liste pulite”. Secondo la sintesi del Corriere, i giuristi parlano di «“norma intrinsecamente irragionevole”. Capace cioè di mettere in conflitto potere giudiziario e potere politico».
«“O è incostituzionale la legge o lo è il decreto legislativo” (…). Spiegano infatti i costituzionalisti che, a differenza delle cause di ineleggibilità, “rimuovibili dall’interessato”, le cause di incandidabilità sono definite e non modificabili. Quindi non possono essere che sottoposte ad una “mera presa d’atto del Parlamento che deve votare necessariamente per la decadenza dal seggio del parlamentare condannato”. Ciò, secondo i giuristi, “urta frontalmente contro la libertà del Parlamento, prevista nell’articolo 66 della Costituzione”». Mentre «se “si dice che la Camera è libera di valutare diversamente”, obiettano, “la si costringe a violare una legge dello Stato”, una scelta che “espone la Camera di appartenenza a un ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri di fronte alla Corte Costituzionale, da parte dell’autorità giudiziaria”».

C’È CHI DICE NO. Di diverso avviso Ugo De Siervo, ex presidente della Corte Costituzionale dal dicembre 2010 all’aprile 2011, secondo cui l’ipotesi di ricorso alla Consulta è solo una «una misura che mira a perder tempo» («per quanto la Consulta possa procedere rapidamente, ci vorranno dai sei mesi a un anno»). Per De Siervo «ci vuole un’autorità giurisdizionale per sollevare una questione di costituzionalità. Che la giunta per le elezioni e le immunità sia un organo giurisdizionale è dubbio». E, in merito ai dubbi di costituzionalità della legge Severino (contenuto retroattivo e sottrazione di poteri agli organi parlamentari), spiega: «Entrambi i motivi di critica non sono convincenti».
Anche Antonio Baldassarre, presidente della Consulta dal febbraio 1995 al settembre dello stesso anno, sul Sole 24 Ore concorda con De Siervo sul fatto che i dubbi di costituzionalità non sussistano. Ma aggiunge che, «se la maggioranza del Senato decidesse che sussistano dubbi sulla costituzionalità, potrebbe sollevare questione alla Consulta in merito all’applicabilità della legge Severino al caso Berlusconi».

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1 commento

  1. candido

    Dunque, Silvietto vostro, da ventanni il campione del’ anticomunismo, quello del lavaggio del cervello ai poveri berluscones del “chi non salta comunista è …” , che per salvarsi il cuculo si appella al buon cuore di due comunisti doc come Napolitano e Violante, dopo essere passato, lui il cattolico per eccellenza (ho 4 zie suore, più cattolico di così …) perfino dal mangiapreti Pannella!!! ancora Tempi riesce a coccolarselo?

    Come farete d’ ora in poi, a parlar male di komunisti, sinistri, abortisti, drogati e anticlericali?

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