Fontana, l’imprendibile

Di Frangi & Stolfi
14 Luglio 1999
Senza ombrello, sotto il temporale di Frangi & Stolfi

Noi che siamo per un’arte che viene dalle budella, ci siamo posti in questi mesi una domanda: perché amiamo tanto Lucio Fontana? Lo spunto per interrogarci ci è venuto dalla recente raffica di mostre (stupenda quella al Museo Diocesano, sull’arte religiosa) che Milano ha proposto in occasione del centenario. Fontana è un grande artista, elegante come pochi, caposcuola tra quanti hanno iniziato a pensare che l’arte non si esaurisce certo nei confini di un quadro. Insomma, può essere considerato un preconcettuale, uno di quelli che sente come vecchia la pittura, come pateticamente limitata la figurazione. È uno che per istinto è portato ad astrarre, a slegarsi dalle catene della fisicità, a cercare la poesia in orizzonti il più possibile mentali. Come si fa ad amare uno così? Noi che siamo, nel nostro piccolo, attratti da tutto ciò che è corporale, sanguinante e carnale, perché siamo tanto attratti dalla rarefazione di Fontana? Da uno che ha messo al centro ciò che sta attorno, cioè lo spazio? Cerca e ricerca, una risposta l’avremmo trovata. La grandezza di Fontana è la sua ironia. Come uomo aveva accumulato tutti i difetti possibili nella prospettiva del politically correct: fascista senza troppe abiure, donnaiolo assatanato, ancorché fedelissimo marito della sua Teresita, cattolico con venature tradizionaliste. Uno con un profilo umano così, ad un certo punto della sua vita riempie di meraviglia il mondo, perché presenta, come opere, tele con dei tagli perfetti. Oggettivamente sono immagini che inducono a uno stupore, custodiscono, nel loro essere fatte di niente (un taglio è un vuoto), lo slancio pieno di miracolo di una resurrezione. Sono ferite senza slabbrature attraverso le quali la tela fa spazio a un mistero. Sin qui siamo disposti a riconoscerlo un grande, uno che ha battuto queste strade spericolate con tanto anticipo su tutti. Ma ancora non lo amiamo. Per amarlo si devono leggere le scritte che Fontana tracciava dietro i suoi tagli e che servivano come autentiche delle sue opere. Sono un puro smantellamento di ogni retorica che nel contempo la critica cuciva attorno alle sue opere. “Fontana smettila di fare tagli”. “Sei un bastardo”. E via di questo passo. Grande, imprendibile Fontana, capace di far convivere la commissione per una Via Crucis in una cappellina di nessun conto, con installazioni tutte nere bucate da un bagliore di neon. Grande Fontana che sapeva essere il più avanti di tutti e non si vergognava di essere il più refrattario ad ogni avanguardismo. Come si fa a non amare uno così?

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