
A tutto Mauro, giustizia europea e la marcia di Vita
SuperMauro Il candidato di Tempi a Strasburgo Mario Mauro nel comune di Milano ha raccolto 16.624 preferenze, secondo solo a Silvio Berlusconi (118.586), Emma Bonino (47.530) e Gianfranco Fini (19.388): più di Antonio Di Pietro (12.905, superato, piccola curiosità, anche da Marcello Dell’Utri: 14.133), Massimo Cacciari (7.610), Umberto Bossi (7.387), Marco Formentini (9.953), Marco Pannella (7.578), Fausto Bertinotti (6.628), Armando Cossutta (1.424), Mariotto Segni (2.962), Ugo Intini (1.006), Bruno Trentin (13.643), Gianni Vattimo (4.113), Pier Ferdinando Casini (1.571), Rocco Buttiglione (289), Guido Bodrato (1.434), Irene Pivetti (299), Giorgio La Malfa (627)…
Caro Mauro, un popolo, quando c’è, si vede.
Rocco e i suoi voterelli Lunedì 14, alla luce dei risultati elettorali, il presidente del Consiglio Massimo D’Alema ha dichiarato che, sebbene in Europa le sinistre non abbiano raccolto un risultato positivo, in Italia “il centrosinistra ha raccolto il 41,2% dei voti contro il 38,1% del Polo. Il risultato del voto, perciò, non pone problemi di stabilità al governo”.
Come non detto, non è successo niente. In fondo si tratta solo del voto degli italiani. In ogni caso, sommando tutto, comprese frattaglie e resti di partito, (Ds, Democratici, Ppi, Sdi, Comunisti italiani, Verdi, Udeur, Lista Dini, Pri-Lib, SüdTirolen Volkspartei) non eravamo riusciti ad accreditare alla coalizione di governo più del 38,5%: nei suoi equilibrismi aritmetico-elettorali il lider Massimo ha, però, arruolato anche il Cdu di Rocco Buttiglione. Il quale, nei giorni precedenti al voto si era più volte espresso per un suo ritorno nel Polo. Ma ecco che se, dati alla mano, nella maggioranza hanno scoperto il fondamentale ruolo di Buttiglione, il leader cattolico di Gallipoli, scoperto a sua volta di essere l’ago della bilancia, ha prontamente dichiarato di “riflettere se uscire dal governo” o meno. D’Alema riuscirà ad acquistare quel “profilo ideale dove servono i grandi ideali” che ancora venerdì 11 Buttiglione reclamava dalle pagine elettorali pubblicate sui quotidiani?
Aiuto arrivano le brigate rotte Giovedì scorso (10 giugno) è stato svelato il mistero delle sette lettere minatorie firmate Br e corredate da proiettili inviate al vicesindaco di Milano Riccardo De Corato, a Massimo D’Alema, Silvio Berlusconi, Pierferdinando Casini, Vittorio Sgarbi, al cardinal Martini e al condirettore dell’Espresso Giampaolo Pansa. Si trattava di una burla organizzata da quattro studenti che in un messaggio recapitato all’Ansa (significativamente intitolato “Brigate Rotte”) hanno spiegato che il loro scopo era “creare un caso di cronaca sulla spinta emotiva del ritorno del terrorismo rosso in Italia” per raccogliere materiale per una tesi sulla distorsione dell’informazione giornalistica.
Un articolo di Prima Comunicazione, la più autorevole rivista di settore, nello scorso numero descriveva così la macchina dell’informazione: “Una belva che cresce, divora e non butta via nulla: concetti accattati dai filosofi, stronzate della Falchi mescolate con le frasi di Dulbecco, le nauseanti stupidaggini di Naomi Campbell intrecciate con le melassose domande della Catherine Spaak, la pasionaria da salotto. Tutto mescolato, tutto impastato, connesso in un unico bolo gastrico sociale di colore grigio essudante, maleodorante che è la voce della Società dell’Informazione. Bestiale”. Appunto.
Strasburgo: 513 censurato Venerdì scorso (11 giugno), il Corriere della Sera riportava (a pagina 16) la notizia della censura da parte della Commissione europea dei diritti umani dell’articolo 513 del codice di procedura penale italiano per insufficienza di garanzie. La Commissione, infatti, ha accolto il ricorso del presunto brigatista Paolo Dorigo condannato a 13 anni e 6 mesi per l’attentato, rivendicato dalle Br, del 2 settembre 1993 alla base Usaf di Aviano. La condanna si era fondata sulle accuse del “pentito” Angelo Della Longa e di altri collaboratori di giustizia che in sede di dibattimento si avvalsero della facoltà di non rispondere, sancita appunto dall’articolo 513. Dorigo aveva sempre negato ogni coinvolgimento nell’attentato e si era arrivati al ricorso europeo che ha stigmatizzato l’incompatibilità tra l’uso del 513 e l’articolo 6 della convenzione europea che sancisce il diritto a un processo equo e quello di ogni accusato “di interrogare o fare interrogare i testimoni dell’accusa”.
Solo in Italia la modifica di un articolo come il 513 – che permette di condannare un imputato sulla base di dichiarazioni rilasciate nel segreto degli uffici dei pm, in chissà quali circostanze e senza che l’accusatore sia tenuto a ripeterle in pubblico e di fronte all’accusato – ha scatenato le reazioni stizzite delle anime belle, sollevatesi in coro per lanciare l’allarme per il destino di processi, di mafia o per tangenti, costruiti unicamente sulle sacre parole di dichiaranti di ogni genere e fatta e su nessun’altra prova. L’armonia legislativa con l’Europa, tanto cara su temi quali la fecondazione eterologa, sembra molto meno sentita su un fondamentale principio di diritto come questo. Un altro motivo per sperare nell’Europa.
Giornalisti indipendenti di sinistra Da una ricerca pubblicata sull’ultimo numero di “Problemi dell’informazione” sull’orientamento politico dei giornalisti italiani si apprende che il 30,1% si dichiara di sinistra, il 26,3% di centro-sinistra, il 13,1% di centro, il 6,4% di centro-destra, il 3,6% di destra, l’1,2% vicini alla Lega, mentre il 17,3% non si colloca in nessuno schieramento politico.
A parte un 17% di strenui sostenitori dell’antica barzelletta dell’obbiettività dell’informazione e dei fatti separati dalle opinioni, dunque, abbiamo un buon 56% di giornalisti schierati per il centro-sinistra contro un 10% orientati verso il centro-destra. Alla faccia del Grande Fratello Berlusconi che dalla stanza dei bottoni di Segrate e di Milano 2 manipola la mente degli italiani. E l’informazione libera.
Vita nei Balcani In una lunga lettera a Tempi, il direttore del settimanale “Vita”, Riccardo Bonacina, ha presentato l’iniziativa “Io vado a Pristina e a Belgrado”. “La mobilitazione – scrive Bonacina – nasce proprio dalla percezione di migliaia di amici che la questione della guerra e della pace non può essere questione da delegare a politici, militari e diplomatici, ma debba riguardare, cristianamente parlando, ciascuno di noi”.
Un’iniziativa, spiega il direttore di Vita, alla quale hanno aderito oltre 12mila persone e che “ha prodotto la prima missione indipendente a Pristina dall’inizio della guerra di un gruppo di quattro osservatori, ha generato un progetto che è stato consegnato al Ministero degli Esteri, alla senatrice Patrizia Toia e che prevede la formazione e la costituzione di corpi civili volontari come osservatori dei diritti umani e dei comportamenti di pace per la prima volta nella storia del nostro Paese sotto l’egida diretta degli Esteri e dell’Onu. Si tratta di un progetto importantissimo ed anche inedito, nella sua genesi e nel suo riconoscimento, di intervento di forze volontarie civili che non ha ancora paragoni in Europa e che potrà quindi costituire un modello. Il progetto prevede la partenza in tempi brevi di un primo gruppo di 10 persone per impiantare le attività in loco e la partenza in tempi brevi di gruppi di formazione per la costituzione dei corpi di pace che opereranno in Kosovo”. Un’iniziativa, in definitiva, “nata proprio dalla riflessione delle organizzazioni non governative italiane, cioè da coloro che in questi due mesi si sono fatti più carico degli immensi bisogni dei rifugiati, e dal loro disagio di essere costrette una volta di più a fare da portatori di cerotti e da ambulanze civili in eventi che si sono rifiutati di subire. Ed è per questo che alla mobilitazione hanno aderito tutte le rappresentanze delle Ong italiane e anche qualcuna da altri paesi europei”.
Ora che la pace è stata finalmente raggiunta facciamo i nostri migliori auguri ai partecipanti all’iniziativa di Vita per un proficuo contributo alla ricostruzione in Kosovo e Serbia.
Opportunità pari e dispari In una conferenza stampa di mercoledì scorso (9 giugno), la Commissione pari opportunità ha evidenziato il numero ridotto di europarlamentari donne italiane: nel parlamento uscente le elette erano 9 su un totale di 87 eurodeputati (10% circa contro una media europea del 27%) mentre nelle trasmissioni televisive dell’ultima settimana di campagna elettorale le candidate donne presenti sono state 13 contro 161 candidati uomini.
Si è da più parti sottolineata l’importanza di questa scadenza elettorale e, giustamente, per selezionare il personale politico si propone, più della competenza, la categoria del sesso. Una curiosa forma di lottizzazione sessuale definita “pari opportunità”. D’altra parte in questi giorni è stato sottolineato con entusiasmo il fatto che la giuria della Biennale di venezia sia composta da tre donne e un solo uomo, nero. Speriamo siano anche competenti di arte contemporanea.
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