Bacon e l’atrocità nel cuore dell’uomo

Di Frangi & Stolfi
26 Maggio 1999
Senza ombrello, sotto il temporale

È tornato Francis Bacon. Il più grande pittore del dopoguerra, il più scandaloso, il più indigesto, il più irriducibile, il più impastato di carnalità è tornato con un bel film (“Love is the devil”, con Derek Jacobi) Non lui, naturalmente, che non era tipo da mettersi dietro una macchina da presa, inquieto, disperato e indisciplinato com’era. Ma un suo biografo ha voluto comunque celebrarlo a sette anni dalla morte, raccontando l’avventurosa storia dell’amore della sua vita (Bacon era omosessuale), George Dyer. Pensate: un ladro che stava tentando di entrare nello studio londinese, che maldestramente cadde sul balcone, si fece sorprendere ma che alla fine conquistò il cuore di quello che avrebbe dovuto essere la sua vittima. Finì poi tragicamente, e i canti funebri dipinti da Bacon per il suo amico scomparso sono tra le cose più alte, drammatiche e insieme commosse che la pittura di questo secolo abbia mai prodotto. Tra noi due la passione per Bacon è terreno comune e condiviso. Uno di noi ci è arrivato per figure, guardando e riguardando i suoi quadri. L’altro per parole, leggendo il bellissimo libro di Nadia Fusini dedicato a Beckett e Bacon (fratelli più di quanto non si pensi). Due strade che portano alla stessa conclusione: la grandezza di Bacon sta nella sua inaccettabilità. Sentite questo aneddoto. Due mesi fa il Museo di arte contemporanea di San Diego ha realizzato un’impresa. Ha radunato tutti i papi dipinti dal grande pittore inglese nel 1953. Si tratta di repliche dallo straordinario Innocenzo X di Velasquez conservato al Museo Doria Pamphili di Roma. Bacon era intervenuto sul volto del Papa, contaminandolo con un’altra immagine che si era impressa nel suo cervello: il fotogramma della madre che urla dalla Corazzata Potemkin di Eisenstein. Una mostra eccezionale, realizzata con pazienza infinita, convincendo un per uno tutti i collezionisti. Quando era vicino alla conclusione, il direttore del Museo volle cautelarsi da possibili scandali. Così si recò dal vescovo di San Diego, pregandolo di non reagire a eventuali provocazioni di giornali o di qualche setta conservatrice. Il vescovo, dimostrando di conoscere bene Bacon, lo tranquilizzò. “Lei non sa”, gli spiegò “quante volte nella solitudine anch’io sono stato tentato di gridare come quel papa”. Per questo Bacon è grande: perché ha svelato brutalmente l’atrocità che assedia il cuore dell’uomo.

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