
Requiem per l’Ulivo (aspettando il resto dell’orto botanico di sinistra)
L’Ulivo si è sciolto. Possiamo ricordare ancora i suoi giorni gloriosi, quando parve che stesse per maturare quell’unità tra sinistra democristiana e postcomunisti che era stato un punto di convergenza della politica italiana degli anni ’80. Il “compromesso storico”, nato sotto l’impulso del golpe cileno nel ’73, si realizzava, sotto l’impulso del golpe di Eltsin, nel 1995. Erano mutate tutte le condizioni politiche, eppure quel filone di intesa tra democristiani di sinistra e comunisti era sopravvissuto ad esse. E non si realizzava nell’insegna del socialismo, ma in quella di un neoliberalismo che era diventato l’unica prassi politica lecita nei giorni della globalizzazione. Un destino sembrava portare i partiti che erano stati di De Gasperi e di Togliatti a confluire in un’unica stretta. E l’additivo era il dossettismo, la posizione di don Giuseppe Dossetti, espressione di una identità di sinistra indipendente dalla Dc. La presidenza di Romano Prodi fu dovuta all’investitura di don Dossetti, che collocava Prodi a mezza strada tra la Dc ed il Pci. Questa coalizione vinse le elezioni nel ’96, ma si decompose nel ’98, proprio per la volontà postcomunista di riprendere in proprio la direzione del governo. Da allora la volontà di vendetta dei dossettiani fu assoluta: ed è giunta ora, dopo la sconfitta del 2002, a negare a D’Alema la presenza nella convenzione europea. Così si scioglie l’unità tra centro e sinistra. Si scioglie anche per l’emergere di una nuova sinistra quella no global, che agisce sia sul mondo ecclesiastico che sul mondo comunista e che ha dato nuova forza alla linea antagonista di Bertinotti. Con ciò la categoria di centro cessa di essere declinabile a sinistra; e pone in particolare difficoltà quelle componenti postdemocristiane (Partito Popolare ed Udeur) che hanno proposto se stesse come il centro dell’alleanza a sinistra. Oggi i postcomunisti debbono prendere atto che la Margherita ha sottratto loro buoni voti comunisti (il che era nel disegno prodiano) e non ha più fascino nel mondo ecclesiastico: né su quello di governo, né su quello di base. Al contrario l’unità a sinistra è divenuta problematica: così che i postcomunisti debbono in primo luogo pensare a salvare l’identità del Pds a sinistra: cioè verso Rifondazione ed i no global. Ciò è molto difficile, perché la posizione del leader, D’Alema, è indebolita, dentro e fuori il Pds, ed è per questo che Rutelli ha potuto dare a D’Alema il calcio dell’asino. Oggi il filone consistente della prima Repubblica, l’intesa comunista con la sinistra democristiana, è travolto dalla propria crisi interna. A prescindere dalla totale occupazione del centro fatta dalla Casa delle Libertà. Il governo Berlusconi ha ora l’occasione politica per governare veramente dal centro-destra la politica italiana; cioè dando vigore allo Stato ed alle istituzioni, recuperando il senso della nazione rispetto alle ideologie di sinistra.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!