I cattivi e il sogno dei buoni

Di Giancarlo Cesana
02 Agosto 2001
La globalizzazione non si capisce con l’irrigidimento ideologico. Quattro punti (tanto per essere chiari) per cominciare a ragionare dopo lo sfasciume (non solo di vetrine) di Genova. E un messaggio ai cattolici: aveva ragione Nietzsche? di Giancarlo Cesana

Il raduno del G8, dunque, lascia un morto, una città devastata, un’opinione pubblica confusa, che a malapena comprende l’importanza e l’utilità di quanto i cosiddetti «grandi della Terra» hanno discusso e deciso. Che cosa è successo?

1. Se s’incontrano è meglio

I capi, democraticamente eletti, dei paesi più progrediti del mondo hanno tenuto il loro incontro periodico per affrontare almeno alcuni degli innumerevoli e gravi problemi che affannano la vita del pianeta. All’incontro, per la prima volta, sono stati invitati anche i rappresentanti dell’Onu e di un certo numero di Paesi poveri. Rispetto a questi sono stati presi alcuni provvedimenti non risolutivi, ma che sono certamente un piccolo passo verso la remissione del debito e un possibile miglioramento delle condizioni di salute. Tutto ciò è positivo. Come ha richiamato anche il Papa nel messaggio al summit, che i grandi della Terra si incontrino è un contributo alla pace e alla soluzione dei problemi che più assillano il mondo. Se non si incontrassero e si guardassero in cagnesco, sarebbe assai peggio: non vi sarebbe luogo per il confronto e la costruzione su questioni rilevanti come la pace, la povertà, la salute e l’ambiente.

2. Il problema non è la globalizzazione ma l’ideologia

Contro i raduni del G8 sta montando da tempo una polemica ostile e, come abbiamo visto, violenta, centrata su un aprioristico «no alla globalizzazione». Con tale «no» si intende l’opposizione alla estensione dello sfruttamento capitalistico e alla distruzione delle identità nazionali e culturali. Esponenti estremi di tale opposizione sono personaggi e movimenti che coltivano nostalgie o utopie marxiste e anarchiche. Costoro sbagliano per due motivi. In primo luogo, perché i capi di Stato del G8 sono sì attori della globalizzazione, ma nel senso che sono stati deputati dai loro popoli a farvi fronte e a governarla (controllando, per esempio e per quanto possibile, gli eccessi di potere delle multinazionali). In secondo luogo, sbagliano perché se la globalizzazione produce gli effetti negativi sopra menzionati, ne produce anche di positivi quali un obiettivo miglioramento delle condizioni economiche e di libertà della maggioranza dei Paesi del mondo. La globalizzazione, pertanto, è un fenomeno ambiguo, come tutte le cose umane, e per essere adeguatamente affrontata tutto richiede eccetto che l’irrigidimento ideologico.

3. I cattivi fanno quel che i buoni sognano

Invece a Genova si è probabilmente evidenziato il massimo di irrigidimento ideologico, che ha trascinato lo scontento e il ribellismo giovanile verso la violenza di gruppi piccoli, ma con un elevato potenziale distruttivo di sé e degli altri. L’ideologia e l’astrazione generano sempre violenza. A chi è più adulto le scene viste in Tv ricordano gli scontri degli anni Settanta. Non esistono centomila dimostranti buoni e mille cattivi che spaccano tutto quello che incontrano. Come diceva Platone, i cattivi fanno quello che i buoni sognano. Soprattutto i «buoni» che educano, che informano, che predicano non debbono sovrapporre i loro sogni alla realtà. Dopo il secolo delle ideologie, questo è un arbitrio inescusabile: abbiamo tutti la responsabilità di combatterlo.

4. Realismo contro astrazione

La storia insegna che non vi è giustizia senza carità, ovvero senza la coscienza che il bene dei singoli e dei popoli si realizza solo quando l’uomo riconosce il proprio limite e la necessità di esserne, letteralmente, salvato. Ne ha parlato Giovanni Paolo II nell’Angelus di domenica, quando ha affidato i risultati del G8 a Cristo: «È Lui che comprende il cuore dell’uomo. È Lui che può colmare le sue speranze e le sue attese come pure dare risposta alle preoccupazioni e alle difficoltà che l’odierna umanità affronta nel suo cammino quotidiano». Realismo contro astrazione. A questo proposito, la realtà è una grande maestra. Le nostre «fedi» debbono rispondere adeguatamente a essa, affermando un senso della vita capace di tenere conto di tutti i fattori che la compongono, incluse quelle contraddizioni che vorremmo, troppo in fretta, eliminare. Invece proprio nella contraddizione dobbiamo vivere con un senso intero della persona e della dignità umana, che, tra l’altro, è il primo modo di combattere gli effetti negativi della globalizzazione. Da cristiani, in particolare nella tensione educativa che sempre ha caratterizzato il compito missionario della Chiesa nel mondo, dobbiamo contrastare l’accusa di Nietzsche: «Sono dei salvati senza averne la faccia».

L’articolo è comparso su La Stampa del 26 luglio 2001.

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