Amico david, morto per angela in Israele

Di Massimo Camisasca
19 Settembre 2002
31 luglio 2002, Gerusalemme. Una bomba messa nella caffetteria Frank Sinatra dell’Università Ebraica esplode, uccidendo molti studenti e ferendone altri

31 luglio 2002, Gerusalemme. Una bomba messa nella caffetteria Frank Sinatra dell’Università Ebraica esplode, uccidendo molti studenti e ferendone altri. Tra i feriti una ragazza italiana, Angela, di Lucca. La sua storia appare per qualche giorno sui giornali italiani, poi più niente. Angela vive ancora perché un ragazzo seduto al suo tavolo l’ha coperta dall’esplosione. Questo ragazzo si chiamava David Gritz ed è il mio migliore amico. Ci siamo conosciuti sei anni fa all’Università McGill di Montréal, dove lui, per un anno, ha studiato lettere. Ci ha subito avvicinato il comune amore per la musica e poi la comune e profonda ricerca di Dio. David è nato da un padre ebreo e una madre cattolica, entrambi non praticanti. Ai tempi ci chiedevamo come si potesse credere in un Dio buono, onnipotente, in un mondo così pieno di male. La lettura de I Fratelli Karamazov aveva scosso fino alle fondamenta la mia tradizione cattolica, mentre la storia di David l’aveva portato a divenire un agnostico che non ammetteva l’esistenza di Dio per mancanza di dati. Molte sere stavamo fino a tardi a discutere di queste cose. Quando, nel 1997, ho riscoperto la fede attraverso l’incontro con un professore del movimento di Cl, abbiamo continuato le nostre accese conversazioni via lettera, mentre David si avvicinava sempre di più alla tradizione ebraica. Da due anni io sono entrato nel seminario della Fraternità san Carlo, un Istituto di preti missionari legati a Cl. David è sempre rimasto distante da ogni determinazione della sua posizione, pronunciandosi poco, ma sempre ascoltando e apprezzando le posizioni degli altri. Quando gli dissi d’essere diventato cattolico e poi seminarista, ne fu dispiaciuto. Gli sembrava infatti che questa nuova appartenenza potesse chiudere ogni ulteriore crescita della mia persona. In seguito ha visto che invece intraprendere una strada precisa non elimina, ma aumenta il dramma della ricerca del senso della vita. Anche per questo ha rinunciato ad uno stage indirizzato al lavoro sicuro e buono nella diplomazia europea per andare a Gerusalemme e approfondire il fascino suscitatogli dalla lettura di Levinas, dell’Antico Testamento e del Talmud. Conosceva il rischio, ma diceva agli amici: «Non si può vivere nella paura». Ero pienamente d’accordo con lui, nonostante la preoccupazione per il succedersi degli episodi di violenza in Palestina. Appena prima della sua partenza, gli scrissi che, anche se talvolta mi arrabbiavo molto con lui, non riuscendo a comunicargli come avrei voluto l’amore di Cristo, non avrei mai potuto dimenticarlo, perché spesso ciò che leggo, vedo, sento o faccio mi ricorda lui e il suo volto. Mi ricordo di una frase dello stesso Levinas: «Il volto è il luogo in cui, l’uno per l’altro, emerge la promessa di Dio: tu non morirai». Il 1 agosto sono stato raggiunto dalla notizia della morte di David.

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