La lezione di Mr. Murphy
Londra. “Bringing Christ to all and all to Christ”, portare Cristo a tutti e tutti a Cristo. Questo il motto che campeggia sull’entrata, e ripetuto in ogni dove, della St. Michael’s Catholic High School di Watford, paese a nord della capitale inglese. All’interno non c’è muro senza crocifisso, non c’è angolo senza frase evangelica («Lasciate che i pargoli vengano a me» è quella della sala mensa), non c’è vetrata senza un dipinto raffigurante la Madonna. «Questa – spiega mister John Murphy, l’headteacher, il direttore della scuola, indicandone una – è stata fatta dai nostri studenti sotto la supervisione dell’insegnante di arte». Si penserà: sarà una scuola privata, magari molto costosa, per figli della ricca borghesia cattolica londinese. Nient’affatto; la St. Michael è una scuola pubblica di ispirazione (e che ispirazione) cattolica pagata quasi interamente dallo Stato. I suoi studenti non sborsano una sterlina per frequentarla. Avete capito bene; è pagata al 100% con i soldi dei contribuenti di un paese a maggioranza anglicana. Mentre da noi, la terra del Papa, ci si lamenta se nelle aule si appendono crocifissi. O se la Tv si permette di parlare di Maria in prime time.
Catholic pride
Mr Murphy conosce i nomi di tutti i suoi 1.000 studenti. Li saluta uno a uno mentre sfilano nei corridoi al suono della campana. Ci tiene molto al rapporto personale con ognuno di loro; «il cristianesimo è, innanzitutto, un rapporto umano», spiega.
La scuola nacque nel 1955 per iniziativa di un gruppo di suore domenicane che decisero che i figli degli operai, perlopiù immigrati, che dovevano costruire la strada che congiunge Watford con Londra, non potessero rimanere senza un’istruzione anche religiosa. «Furono le suore che scelsero come motto della scuola la parola “Veritas”, che oggi compare su tutte le casacche degli scolari, e che in seguito è stata affiancata dal motto “Bringing Christ to all and all to Christ”. La frase è stata votata da un’assemblea, una decina di anni fa, formata dai professori, i genitori e gli studenti dell’istituto. Ci sembrava rispecchiare al meglio l’obiettivo di una scuola che si professa cattolica». La preghiera prima dell’inizio delle lezioni, tre ore di religione a settimana obbligatorie, filosofia morale e teologia per i più grandi, lezioni di scienze in cui si affrontano anche problemi etici o morali («anche sull’aborto, oh yes»), studio di poesie religiose. Qui, infatti, non si fa nulla per mascherare o mitigare i propri principi; niente è annacquato nel politically correct che vuole una materia o un argomento uguale a qualsiasi altro. Al contempo, il proprio credo non è nemmeno ostentato né imposto. «E perché mai? – s’interroga Mr Murpy -.
È tutto perfettamente normale, no?». “Normale” o “non normale”? This is the question, direbbe Amleto.
Lo stato paga, la chiesa presta
Nel 1944 il parlamento inglese stabilì per legge che le scuole che desideravano dichiararsi apertamente confessionali (Faith school) sarebbero state sostenute dallo Stato al 100% per le spese correnti e al 90% per quelle straordinarie. Oggi la St. Michael dispone di tre campi di calcio con un prato su cui Vieri e Maldini pagherebbero per giocare, tre campi da basket, quattro da tennis, una palestra superattrezzata, un teatro, una cappella, 7 aule per esperimenti scientifici, computer con connessione a Internet a disposizione degli studenti, una biblioteca, una mensa. Il personale: 62 insegnanti e 7 amministrativi. Mr Murphy mostra orgoglioso un progetto di ampliamento dell’edificio: «Due milioni e mezzo di sterline dovrebbero bastare. Il 90% della cifra sarà elargita dallo Stato, il restante 10% sarà a carico nostro. Come faremo? In due modi: grazie alla donazione di un importante imprenditore della zona (che comunque avrà il suo tornaconto potendo “scaricare” la spesa dalle tasse) e grazie al contributo dei genitori degli studenti». Ma non era tutto gratis? «Noi chiediamo un contributo libero di 70 euro. Solo chi vuole o può, lo versa». «Se ce ne fosse ancora bisogno – prosegue il direttore – la diocesi di Westminster interverrà prestandoci il restante».
Thank you Mrs Thatcher, thank you Mr Blair
Negli anni Ottanta la salute delle scuole inglesi non era delle migliori. Per innalzare il livello qualitativo medio la “Lady di ferro”, la signora Thatcher, non esitò a creare il Dfes (Department for Education and Skills), un organo ministeriale con il compito di fissare dei criteri validi per tutte le scuole del Regno e di verificarne la completa attuazione. «Da principio l’iniziativa suscitò qualche polemica – ricorda Mr Murphy – anche perché gli Ofsted (gli ispettori pubblici) fecero chiudere più di un istituto non in regola con i nuovi parametri». Ogni sei anni le scuole pubbliche inglese e gallese si sottopongono all’esame degli Ofsted che ne verificano l’andamento. «Gli ispettori controllano i conti della scuola ma anche la preparazione dei nostri studenti con delle vere e proprie interrogazioni», spiega tranquillo l’headteacher. Che prosegue: «sono soldi dei contribuenti, è giusto che lo Stato verifichi come sono utilizzati». I risultati delle ispezioni vengono poi resi pubblici e pubblicati sul sito del Dfes o reperibili nelle biblioteche cittadine cui chiunque può accedere. «Se, per esempio, un genitore volesse sapere come è fatto, quali sono gli aspetti positivi o le carenze di un istituto non deve far altro che consultare questi documenti». Che sono molto precisi e dettagliati fino quasi ad essere, per i nostri criteri “italiani”, un po’ crudeli: “il professore di inglese insegna male la sua materia” o “i corridoi della scuola sono troppo stretti” o “la palestra è attrezzata male”, etc. etc. Sta di fatto che il livello medio del sistema scolastico inglese si è innalzato e la ricetta Thatcher è stata sposata prima da Major e oggi da Blair. Inutile dire che la St. Michael è una delle migliori del Regno Unito; nell’Inspection Report (il documento finale redatto dagli ispettori) è scritto che «la preparazione cui giungono gli studenti è eccellente e – sottolinea Murphy – anche sotto l’aspetto morale e spirituale».
Occupazioni? What?
La scuola è un pullulare d’iniziative. In mensa è appeso un grande disegno raffigurante un termometro. La temperatura è arrivata a 20mila sterline. «Sono i soldi smarriti che vengono raccolti e devoluti in beneficienza», precisa il direttore.
Ogni anno gli studenti raccolgono fondi per sostenere le spese di viaggio di ragazzi handicappati a Lourdes, per costruire una scuola cattolica in Tanzania, per aiutare un ospedale della zona che si occupa di moribondi. Ogni anno viene organizzato un open day dove gli studenti e gli insegnanti aprono le porte della scuola a genitori e futuri iscritti per illustrare il loro mondo. L’open day dura due mattine e una sera; gli studenti e gli insegnanti tornano a scuola al tramonto per incontrare i futuri “primini”. In Italia, di studenti aggirarsi per i corridoi delle scuole in ore tarde, se ne sono visti solo durante le occupazioni autunnali. «Occupazioni? What?», chiede Murphy. Ci si arrabatta inutilmente in spiegazioni. Non si riusce a convincerlo che non si tratta di uno scherzo. «Se così fosse, andrebbero espulsi», sentenzia serafico. «Facile, no?». Già, “facile”, un altro cruccio amletico.
Non ti va? Libero di cambiare
Il mondo della St. Michael è fatto di ore di lezione ma anche di iniziative sportive (calcio, golf, pallavolo, minibasket, cricket, tennis), artistiche (costruzione di crocifissi, modellini di chiese, pittura di vetrate), culturali (incontri e seminari), musicali e teatrali (allestimenti di musicals e drama) e chi più ne ha più ne metta. «Ma tutto ciò sarebbe nulla se la scuola non fosse cattolica», chiosa Mr Murphy. «Anche se – precisa – non tutti gli studenti sono cattolici; indicativamente circa l’80%, i restanti sono anglicani. E noi non obblighiamo nessuno a partecipare alla Messa della scuola o ad altri momenti religiosi. Siamo però molto chiari nell’indicare qual è la nostra ipotesi educativa di partenza. A chi mi chiede di cambiarla rispondo: “ci sono tante scuole in Inghilterra, e anche di ottime. Non ti sta bene? Libero di cambiare”».
Mai sentito parlare di sussidiarietà?
Mrs Pamela Lewis è la chief governers, il capo dei volontari che, gratuitamente, per conto dello Stato e della comunità locale, controllano la scuola. Cosa controlla? «Verifichiamo – risponde Pamela – che la scuola attui i programmi e raggiunga gli obiettivi che si sono fissati a inizio anno». Pamela ha libero accesso ovunque, presiede ai colloqui con i nuovi insegnanti (se uno non le va a genio può anche impedirne l’assunzione), può controllare tutte le carte bollate che entrano e escono dall’edificio, può mettere il naso in qualsiasi affare che interessa la St. Michael. «Controlla persino me», sorride Mr Murphy, «ed è per me di grande aiuto. Pamela è stata scelta dalla comunità di Watford ed è la garanzia, agli occhi dei cittadini, che tutto qui proceda per il meglio». «È anche nel mio interesse – interrompe Pamela – che la scuola funzioni: i miei figli la frequentano». Come si dice sussidiarietà in inglese?
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