Marx? Un anticomunista

Di Fabio Cavallari
20 Novembre 2003
“Intervista immaginaria con l’autore de ‘Il capitale’”

Discutendo con Karl Marx, incontrato casualmente nell’anno 2003 in un volo pindarico nell’interspazio della mia immaginazione.
Cavallari: «Ha ancora senso oggi discutere di alienazione?».
Marx: «È necessario se s’intende rimettere l’uomo al centro della discussione politica».
C: «Nel corso della storia possiamo individuare dei momenti in cui questa disalienazione è divenuta “fatto reale”?».
M: «Apparentemente solo nella società primitiva l’individuo, fornendo direttamente lavoro sociale, non subiva l’alienazione. Ad “integrarlo” nell’ambiente sociale, però, era in realtà l’estrema ristrettezza dei bisogni: la povertà materiale e l’impotenza al cospetto delle forze naturali costituivano delle abnormi fonti di alienazione».
C: «Ovviamente (come avrai intuito) io alludevo ai tentativi messi in campo dopo la tua opera filosofico-politica».
M: «Va sottolineato, senza alcuna reticenza, che i risultati di tutti i tentativi messi in opera sino ad ora si sono rivelati tutt’altro che positivi. La drammaticità dei fallimenti socialisti è lì a dimostrarlo. I sogni che hanno ispirato le rivoluzioni proletarie muovevano i loro obiettivi dalla pretesa teorica di superare tutte quelle forme di esistenza che da sempre hanno generato l’uomo alienato».
C: «Ma…».
M: «Ma attraverso quelle esperienze non si giunse mai ad una libertà positiva, anzi, totalitarismi di ogni genere arrivarono persino a negarne le forme più elementari».
C: «Lo stalinismo è un tipico esempio di questa barbara interpretazione».
M: «Infatti, le varie forme di alienazione umana, ereditate dalle precedenti società di classe, vennero rafforzate ulteriormente. La persona non venne sciolta dai vincoli del lavoro salariato e le utopie inerenti alla partecipazione all’amministrazione della produzione e alla distribuzione dei beni finirono per rimanere ingabbiate nella spirale repressiva della burocrazia statalista. Si costituì nei fatti una società basata sull’universale monopolio dello Stato, nella quale la mia idea di pianificazione fu trasformata in una sua contraddizione. L’uomo, in quanto produttore, non diventò il pianificatore ma entrò a far parte di un piano, divenendo esso stesso pianificato».

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