Furor mortis

Di Marina Corradi
26 Marzo 2004
Da Necaev a Zawahiri, da Occidente a Oriente, il nichilismo è entrato nell’educazione di massa e costituisce il nocciolo di ogni utopia e dell’idea stessa di “rivoluzione”. Infatti: quanta distanza c’è tra l’idea di scaraventare gli uomini in “un altro mondo possibile” e quella che gli uomini li vuole semplicemente “all’altro mondo”? Ecco il filo (mortifero, conferma Glucksmann) che lega i giacobini ai binladeniani, l’integralismo islamico che assolutizza il “jihad” al pacifismo europeo

E’ il 1793, l’anno del Terrore, quando il termine “nichilismo” debutta nella storia. Lo crea tale Anacharsis Cloots, presidente del club dei Giacobini. La Repubblica, dichiara Cloots, non è teista, né atea, «elle est nihiliste». Cioè, non fa alcun riferimento a un dio, nemmeno per negarlo. Semplicemente, lo ignora. La trovata non piace a Robespierre. Anacharsis Cloots non vede la fortuna della sua creatura: prima di capire perché, si ritrova sulla ghigliottina.

Nichilismo, l’affare degli affari
Intendiamoci: se il termine “nichilismo” vede la luce nel momento più sinistro della Rivoluzione, la sostanza della questione è antica. Quanto l’uomo. Istinto, hybris di violenza devastante e sfrenata, che nulla risparmia, di nulla ha pietà. Iliade, libro VI, il furore di Agamennone: «I troiani? Ah nessuno ne sfugga alla rovina e alla morte, fuor dalle nostre mani, neppure colui che la madre porti nel ventre, se è maschio, neanche questo ci sfugga, ma tutti spariscano con Ilio, senza compianto né fama!».
Il gusto della distruzione pura, della tabula rasa, è dunque “roba nostra” molto prima che appannaggio dell’estremismo islamico. «Il nichilismo è sotto tutti gli aspetti un affare interno dell’Occidente» scrive André Glucksmann nel saggio Dostoevskij a Manhattan, Liberal edizioni, e prosegue: «La lotta contro il nichilismo è l’affare degli affari per un Occidente che, inventore della “città”, si è nello stesso tempo imbattuto nella hybris anticittà. Per l’unica civiltà che fin dall’inizio si riconosce vulnerabile e mortale, l’antagonismo dell’essere sociale (polis) e dell’essere asociale (apolis) polarizza la scena, dove si gioca la sopravvivenza».

Come si aprono le porte al nulla?
Con la negazione del principio di autorità

È il ritratto dell’Occidente dopo l’11 settembre e ancor più dopo l’11 marzo, l’attacco all’Europa. Eppure riproduce schemi già descritti da Omero: la grande minaccia sta in chi «senza collettività, né legge, né focolare, ama per natura la disputa e la guerra». Bande di senza tetto né legge, né affetti, niente in assoluto da perdere o da desiderare. Nichilisti: a Omero mancava solo il nome. A consacrarli per primo alla letteratura è Padri e figli di Ivan Turgenev. È il 1862. Pare quasi che nell’Ottocento all’onda lunga dell’illuminismo segua una singolare voglia di distruggere. «Viviamo nel migliore dei mondi possibili», aveva detto Leibnitz. Tuttavia, come una opposta, violenta negazione di questo ottimismo si impadronisce nel secolo successivo di filosofia e letteratura. L’autorità è contestata in quanto tale, si vuole ribaltare dalle fondamenta tutto l’ordinamento sociale.

L’ossessione della tabula rasa
L’interprete assoluto di questo demone è Fëodor Dostoevskij. Per Agostino il male era assenza del bene, puro nulla. Per Dostoevskij, il male è invece un fattore attivo, «qualcosa di informe che si leva sulla soglia della coscienza e minaccia continuamente di invaderla», come scrive il critico Evdokonoff. E l’anima dell’uomo, un campo di battaglia. I personaggi de I demoni declinano tutte le sfumature della possessione nichilista. Nei Quaderni in cui l’autore annota le istruzioni per muovere le sue creature, si legge: «N.B. La principale idea di Necaev – non lasciare pietra su pietra e che questo sia la cosa più essenziale e necessaria di tutto». E anche: «Voi negate tutto o più precisamente distruggete tutto… ma alla fine bisognerà pur costruire. – (risposta) Questo non è affar nostro… bisogna prima pulire il terreno». I cospiratori di Dostoevskij, scrive Glucksmann nel saggio già citato, «uccidono e si uccidono a vuoto. Senza perché. I demoni giocano con le idee. (…) In modo risibile si riassume l’opera di Dostoevskij con l’assioma: “Se Dio è morto, tutto è permesso”. Che errore! Dostoevskij invece esplora la rovina universale di quello che egli chiama frattura, rottura, smembramento, decomposizione». Perché, conclude il filosofo francese, voce solitaria nell’avvertire l’Europa delle necessità di difendersi contro un nuovo, terribile nemico, «il nichilista compiuto non è soggetto a un travaglio dottrinario, né è schiavo di una filosofia. Gioca. Gioca con le idee come con gli esseri umani. Dostoevskij era così poco incline a ridurre il nichilismo al dominio di un’idea, che aveva progettato un romanzo in cui i soli protagonisti dovevano essere dei bambini». A dei bambini dunque, semplici esecutori degli ordini di un occulto manipolatore, doveva essere originariamente affidato il compito di rappresentare l’apocalisse nichilista (come nell’inferno dell’Uganda, dove il Lord Resistence Army trasforma i bambini in massacratori).

“W la muerte!”
Ma perché, e da dove questa spinta a distruggere? Dostoevskij, brutale, risponde sui Quaderni: «Da dove sono usciti i nichilisti? Ma da nessuna parte, sono sempre stati con noi, in noi, accanto a noi». Con noi, dentro di noi da sempre, come il peccato originale. Simili, in quella brama di nulla, agli angeli ribelli precipitati nell’abisso. Lecito chiedersi, però, che cosa ne abbia favorito il fuoriuscire invasivo, come di insetti immondi improvvisamente proliferati, nella modernità, a partire appunto dall’Ottocento. Di bestialità, ferocia, violenza, sempre ce ne è stata. Ma teorizzarla, farla assurgere a sistema, vantarsene, fregiarsi di quel nome, nichilisti, che già nel suo nascere voleva, più che negare dio, ignorarlo, questo è un di più degli ultimi due secoli di storia.
Dalle tenebre di Stavrogin e Kirillov in poi, si allarga in Europa quella voglia di nulla. È il Catechismo del rivoluzionario di Michail Bakunin. È il generale franchista Millan Asray che il 12 ottobre 1936 all’Università di Salamanca grida: «Viva la muerte!». È Hitler che confida: «Non possiamo essere distrutti, ma se lo saremo, inghiottiremo un mondo con noi, un mondo in fiamme».

I Demoni
Che cosa fa da terreno di coltura al nichilismo tra Ottocento e Novecento? La delusione e la rabbia per le promesse mancate di un’umanità sempre migliore fatte nel secolo dei Lumi? E oggi?
In un’intervista ad Avvenire del 14 marzo scorso, il laico Glucksmann indica come possibile causa di espansione del fenomeno la dimenticanza del male. La smarrita coscienza dell’esistenza del male.
Intanto il fanatismo religioso islamico si fa nichilismo globalizzato. Colpisce ovunque, senza prevedibilità né frontiere. Da Dostoevskij a Manhattan, una cronaca di Ground Zero. Parla un pompiere: «Quando l’acciaio fonde e il cemento si sgretola con il calore, cosa può diventare la carne umana? Ditemelo. Tutta questa polvere nell’aria, questa polvere che respiriamo, è cemento e carne». Commenta Glucksmann: «Sembra emergere un non so che, per metà camera a gas e per metà aurora nucleare».
Avrebbero aggiunto i Demoni: «Verrà un tale sconquasso, come il mondo non l’ha ancora veduto».

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