
La sfida islamica dentro l’islam
Gli sciiti irakeni si sono divisi in due gruppi: uno fa capo all’ayatollah Al Sistani, l’altro all’ulema Al Sadr. Il primo punta sulle elezioni e sullo stabilimento della democrazia irakena ed ha ottenuto che il nuovo governo nasca da una consultazione elettorale e non da un’assemblea di notabili, come era stato pensato originariamente dall’amministrazione della coalizione. Gli sciiti sono maggioranza in Irak e quindi si offre loro per la prima volta nella storia la possibilità di governare sulla loro terra. Questo era stato negato loro sia dall’impero turco che da quello britannico: e poi era giunta la tirannia di Saddam Hussein. Al Sistani punta dunque sullo stabilimento di istituzioni democratiche e quindi sulla costituzione in Irak di uno Stato federale in cui gli sciiti vedano rappresentata democraticamente la loro maggioranza numerica. Al Sadr punta invece a conquistare il cuore degli sciiti con una linea di scontro frontale con gli americani: e non a caso la sua insurrezione è scoppiata non appena la coalizione ha deciso di sospendere il suo governo il 30 giugno. Questo gruppo intende fare della linea antioccidentale la base della sua egemonia nella comunità sciita deponendo il moderato Al Sistani dall’autorità che esso detiene. Il conflitto che si è aperto all’interno della comunità sciita è una lotta per il controllo della guida spirituale in essa, contrapponendo ad una linea politica ed istituzionale una via fondamentalista e di rottura con la coalizione. La maggioranza del popolo irakeno vede nell’intervento della coalizione la possibilità di un Irak libero e prospero, in cui la ricchezza petrolifera possa profittare all’insieme della popolazione. Le forze sunnite che controllano l’insurrezione nella loro zona e quelle sciite di Al Sadr hanno obiettivi diversi, ma il medesimo fine di impedire l’instaurazione della democrazia irakena ed il benessere della popolazione di una delle aree potenzialmente più ricca del mondo. Gli insorti di ambedue le comunità sono potenzialmente in conflitto tra di loro e non hanno alcuna prospettiva di soluzione politica del problema irakeno. Ma la loro azione ha proprio lo scopo di impedire il processo che con l’intervento delle Nazioni Unite e lo stabilimento della democrazia che la coalizione occidentale ha iniziato. In queste condizioni non rimane per la coalizione altra possibilità che quella di lottare per il suo fine, quello di dare al popolo irakeno libertà, democrazia e prosperità. Il presidente Bush ha sinora mantenuto la data del 30 giugno come data del passaggio dell’amministrazione americana al governo irakeno. La guerra irakena mostra come il dilemma del mondo musulmano stia tra una forma di vuoto fondamentalismo senza prospettive politiche e istituzionali e una via di un ordine politico conforme alle esigenze reali dei popoli musulmani. Naturalmente in Europa la domanda sulla necessità della guerra irakena tornerà ad agitare le acque, con argomenti consistenti, ma il vero problema è che l’Occidente non può disinteressarsi del futuro del mondo islamico. L’11 settembre ha rivelato che il mondo musulmano è posto dalla globalizzazione innanzi a una sfida culturale, il terrorismo è una risposta a questa sfida. Non è possibile al mondo musulmano rimanere in un suo ghetto di regimi autoritari che non consentono lo sviluppo civile e sociale del popolo. Anche l’Europa non può essere neutrale innanzi a questo dilemma. Il neutralismo europeo non ha senso innanzi a un’alternativa così radicale come quella posta da una deriva islamica verso la guerra all’Occidente.
bagetbozzo@ragionpolitica.it
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