
L’ora della tolleranza
Strasburgo – «Presidente Barroso, lei ha dimostrato la stoffa del leader. Siamo fiduciosi nella sua forza e nella forza dell’Unione Europea. Avremmo, è vero, preferito un voto positivo oggi, ma la politica è un processo, e la Ue è dentro un processo di parlamentarizzazione. Il risultato finale sarà che il Parlamento dovrà poter rifiutare i candidati Commissari che non gli stanno bene. Le auguriamo un grande successo, Presidente Barroso». Scrosciano gli applausi nell’emiciclo dell’Europarlamento. Chi è il tribuno che, mentre Barroso ha appena gettato la spugna, canta vittoria e annuncia quasi trionfante che d’ora in poi certi candidati, vedi gente come Rocco Buttiglione, se la vedranno con l’aula? No, non è il socialista Martin Schulz, né il Verde Cohn-Bendit, ma nientemeno che il leader dei Popolari europei Hans-Gert Poettering. Uno che 24 ore prima s’era detto “assolutamente certo” della compattezza del voto positivo dei suoi – anche se nel dirlo aveva abbassato pudico lo sguardo. Uno che ai giornalisti aveva detto solennemente: «L’Europa è tolleranza. Occorre tollerare ogni differenza culturale senza discriminare nessuno», aggiungendo dopo una breve pausa: «Nemmeno per le sue convinzioni religiose». Cioè a dire: bisogna tollerare anche i cattolici. Gli ultimi dei moicani in questa Europa, pensa qualcuno ascoltando Poettering, fra qualche anno potremmo essere noi.
Alle ore 11 del 27 ottobre il teatro del caso Buttiglione finisce, dopo due giorni di infinite parole e stremante caccia ai voti, con una ritirata così disperata e repentina che solo il buon Hans-Gert può raccontarla come una vittoria. Lo sistema subito il Verde Daniel Cohn-Bendit: «Presidente Barroso, si legga Mao Zedong. Ha scritto che analizzare la sconfitta è preparare la vittoria. Lo faccia leggere anche all’onorevole Poettering. E non ci riporti fra qualche giorno la stessa Commissione, presidente. Vi metteremmo con le spalle al muro». Brutale, ma, almeno, onesto. E l’aula, i 731 solitamente inerti e grigi a discettare di alimenti conformi, di pesi e misure, e di direttive sui molluschi bivalvi, improvvisamente appassionati ribollono. «Onorevole Watson tiene la palabra» ordina la Presidenza in spagnolo. Ma la palabra il leader liberale non la tiene per niente, gli è già stata soffiata da uno scalmanato collega, che urla, si agita, inutili le minacce di espulsione, dice, par di capire, che è una vergogna, non si capisce che cosa, lo zittiscono a forza. Aria di casa. Pare Montecitorio nei giorni migliori. Gente incazzata. Musi lunghi.
Povero Buttiglione, colpevole d’avere detto in audizione: «Quando si fa politica non si deve rinunciare al diritto di avere le proprie convinzioni morali, quindi posso pensare che l’omosessualità sia un peccato, ma questo non ha nessun effetto in politica. Considero inadeguato pretendere che tutti siano d’accordo sulle questioni morali. Possiamo costruire una comunità di cittadini anche se su alcune questioni morali non siamo d’accordo. Il problema è quello della non-discriminazione, lo Stato non ha nessun diritto di ficcare il naso in queste cose. Nessuno può essere discriminato in base al suo orientamento sessuale. Questo è scritto nella carta dei diritti fondamentali e nella Costituzione, che intendo difendere». Parrebbe una dichiarazione esemplare. Invece no. è bastata quella parola, “peccato”, a far saltare i nervi all’Europa democratica, “tollerante”, zapatera. Il filosofo cattivo riceve la visita di numerosi colleghi cattolici. Strette di mano meste, sussurrate parole di solidarietà. Paiono condoglianze. In effetti, è morto qualcuno a Strasburgo: la libertà di poter dire ciò che sei, ciò in cui credi, senza essere perciò cacciato fuori dal consesso dei pari.
E, essendo ormai la battaglia vinta e l’avversario defenestrato, i vincitori nobilmente vanno giù duri. Per Marco Rizzo, Gue, (Comunisti) la naufragata Commissione Barroso aveva «dei Commissari mediocri e, con il Commissario Buttiglione, un Commissario pessimo e medioevale, che danneggia l’immagine dell’Italia ed è alfiere di un ritorno al passato, appunto al Medioevo più retrivo, fatto di discriminazioni razziali, di discriminazioni di sesso, di discriminazioni di genere». Per Wurtz, capogruppo Gue, l’immagine del Collegio è stata intaccata «da dichiarazioni indegne, fondamentaliste e discriminatorie, non sanzionate come si sarebbe dovuto». Dove viene a galla l’anima fascista di questi sinceri democratici: hai detto ciò che pensi, ora ti purgo.
Poi ci sono i casi umani, come quello di Michele Santoro, che approfitta del palcoscenico europeo per esporre il suo pietoso caso di disoccupazione: «Sono un giornalista al quale è stato impedito di continuare a fare il suo lavoro», esordisce. Triste vicenda che non ha scalfito per fortuna le sue certezze: «Buttiglione come Commissario sarebbe stato inaccettabile anche per Gesù Cristo, che ha detto che chi è senza peccato scagli la prima pietra». Mah. Dove avrà letto i testi delle audizioni Santoro? E se li ha letti, cosa ha capito?
Nell’emiciclo affollato come mai la palabra rimbalza, contesa, agognata. Tuttavia si ascolta ciò che si vuole ascoltare. Fra gli ultimi interviene Cristiana Muscardini di An. Netta, tagliente. Dice che «le modalità differenti fin ad ora utilizzate nelle audizioni dei Commissari non hanno garantito né metodi equanimi né rispetto di una vera democrazia». Che «lo spirito laico del Parlamento si preserva solo se questa laicità non si tramuta in una nuova forma di integralismo». «Chi pensa di difendere le diversità culturali o sessuali discriminando la fede religiosa di altri non opera per il bene comune, bensì per perpetrare nuove discriminazioni. La meschinità intellettuale rende gli essere umani piccoli ed arroganti». Vox clamantis in deserto. Silenzio in aula, né applausi, neanche dalla destra, né fischi. I deputati leggono, chiacchierano.
E Barroso si congeda bonariamente. Onorevoli, io sono un uomo di compromessi, oggi ci rafforziamo reciprocamente, ci si rivede presto, questa non era una partita di calcio. No, infatti, però appena tolta la seduta i più dei Popolari si dileguano lesti tale e quale come i giocatori della squadra che le ha prese. Resta, lealmente, il capogruppo italiano Tajani a sostenere che Barroso, evitando in extremis il voto e lo scontro istituzionale, ha fatto «un gesto saggio». L’Udc Antonio De Poli ammette sincero che oggi «ha vinto quella parte laica del Parlamento che ha voluto imporre all’Europa la propria visione contraria ai valori cristiani che vogliamo rappresentare». S’offrono generosamente ai microfoni Bertinotti e D’Alema. Quest’ultimo ricorda con rimpianto i tempi d’oro in cui da premier nominò Commissario Mario Monti, i tempi in cui l’Europa scelse l’euro.
Mostra di rammaricarsi: « Certo, da quel momento di prestigio italiano in Europa, al caso Buttiglione, c’è una differenza forte…». Ma gli luccicano gli occhi di soddisfazione. Per Enrico Letta, Margherita, non bisogna «buttiglionizzare» troppo questa storia (No, ma di cos’altro s’è parlato per due giorni in aula? Degli altri commissari? Di terrorismo, o immigrazione? Non era un voto, quello di oggi, era un referendum pro o contro Buttiglione). Prosegue Letta: «Certo, l’Italia non ne esce affatto bene». Nemmeno l’Europa, diciamolo. Gran brutta giornata. E ancora peggio che quasi tutti in aula applaudano, e si dicano soddisfatti. Non capendo, o fingendo di non capire, che partita s’è perduta, oggi a Strasburgo.
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