Non uccidete Abdul

Di Caterina Giojelli
30 Marzo 2006
Il caso dell'afghano condannato a morte per apostasia. Unanime la solidarietà dell'islam italiano, ma centinaia di convertiti continuano a nascondersi (anche a casa nostra)

Furono i talebani a volere una legge anti-conversione in Afghanistan e la nuova Costituzione del governo Karzai non sembra da meno: «Ai tribunali è data facoltà di ispirarsi alle disposizioni della sharia islamica qualora le leggi statali non fossero esplicite su qualche aspetto. Dove possono, i talebani continuano ad applicare la loro interpretazione coranica in materia di libertà religiosa». Incendiare ong cristiane, sgozzare Maulavi Assadullah per propaganda di cristianesimo, lapidare Amina per adulterio. È la democrazia post-taliban quella raccontata da Giorgio Paolucci e Camille Eid in appendice a I cristiani venuti dall’Islam. Storie di ex musulmani convertiti (Piemme). Cristiani come l’afghano Abdul Rahaman che ha rischiato la pena di morte per apostasia. Un caso che ha visto l’Italia affiancare la protesta di tanti paesi. E continuare a tacere sulla semiclandestinità cui sono costretti centinaia di convertiti nel nostro paese.

Scialoja, Piccardo, Pallavicini, Allam
«Il Corano – spiega a Tempi Mario Scialoja, responsabile della Lega musulmana mondiale in Italia – dice esplicitamente che l’apostata verrà giudicato non dagli uomini ma da Dio al momento del giudizio universale. Una condanna di Abdul sarebbe stata assolutamente ingiustificata dal punto di vista dottrinale». Anche Hamza Piccardo, segretario nazionale dell’Unione delle Comunità ed Organizzazioni Islamiche in Italia (Ucoii) ricorda a Tempi che «il caso dell’apostata rientra invece in un discorso di libertà religiosa non sanzionata dal Corano e tuttora al centro di un acceso dibattito». Khalid Chaouki, giornalista ed ex presidente dei Giovani Musulmani d’Italia, aggiunge: «Il caso di Kabul rende ancora più urgente un processo di riforma dell’ijtihad (interpretazione delle fonti, ndr) da parte dei musulmani. Le formazioni più riformiste devono fare richiesta chiara ed esplicita affinché, come in Marocco, la pena per apostasia non sia più attuata. Opporsi alla volontà umana di cambiare religione è opporsi alla volontà di Dio». Forte l’accusa dell’imam Sergio Yahe Pallavicini, vicepresidente della Comunità religiosa islamica (Coreis): «Nel sistema giuridico di ogni democrazia moderna, la libertà religiosa deve essere tutelata, rispettando le scelte individuali come le diverse identità religiose. L’Afghanistan è passato in pochi mesi dal fondamentalismo talebano alla democrazia, e vive ora un tremendo contrasto tra l’applicazione di una lettura formalista dell’islam e la libertà di espressione di culto e pratica». Pallavicini ribadisce che «uno Stato che criminalizza per legge chi abiura è fondamentalista e anacronistico». Anche per Abdel Hamid Shaari, presidente dell’Istituto islamico di viale Jenner a Milano, «si chiede ai magistrati di applicare una cosa che nell’islam non c’è. La certezza non è nei detti tramandati, ma nel Corano, dove nessun versetto prevede una condanna per l’apostasia».
L’unanime condanna del mondo isalmico italiano, ci dice il vicedirettore del Corriere della Sera Magdi Allam, non basta: «Lo stesso segretario nazionale dell’Ucoii è un convertito all’islam e sarebbe singolare che la conversione la concepisse per sé e non per gli altri. L’unanimità deve realmente rafforzare la formazione di un pensiero e di una politica che stabiliscano formalmente e inequivocabilmente che la libertà di conversione è legittima. Deve essere proclamato ad alta voce, è necessario per creare le condizioni per cui i tanti musulmani convertiti al cristianesimo in Italia possano pubblicamente professare il proprio culto e praticarlo alla luce del sole».

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