
L’aiuto alla chiesa che soffre tra tsunami e islamismo
Quel giorno il parroco di Mullaitivu, nella diocesi di Jaffna, aveva preparato per i fedeli un Santo Stefano speciale. Alla tradizionale celebrazione nella chiesa del villaggio aveva preferito guidarli su per i sentieri che portavano alla grotta di San Giuseppe, perché lì fosse celebrata la Messa del secondo giorno di Natale. Era il 26 dicembre del 2004. In quelle stesse ore lo tsunami spazzò via l’intero villaggio, chiesa compresa. Della scomparsa dei Mullaitivu dello Sri Lanka e delle Isole Andamane si scrisse molto, ma molto poco di quei fedeli radunati nella grotta di San Giuseppe e rimasti illesi.
Quando Norbert Neuhaus e Hans-Peter Rothlin, rispettivamente segretario generale e presidente di Aiuto alla Chiesa che soffre – l’Opera di diritto pontificio fondata da padre Werenfried van Straaten nel 1947 per sostenere la Chiesa perseguitata – vennero a conoscenza di questo e altri episodi verificatisi durante l’inondazione, la certezza che quella «divina provvidenza» in cui padre Werenfried aveva instacabilmente insegnato loro a confidare «contro qualsiasi logica di tipo economico», li accompagnasse, aggiustò ancora una volta la prospettiva di lavoro. Confidare sempre, specie quando le risorse finiscono e le richieste di aiuto si moltiplicano.
Raccontano così il 2005 i responsabili di Aiuto alla Chiesa che soffre: «Non ci decidevamo a respingere richieste giunte dall’Africa, anche se le offerte erano esaurite. Mancavano 943 mila euro». Che si fa in questi casi? Si confida contro qualsiasi logica di tipo economico. A un esperto di marketing aziendale verrebbero i capelli verdi, ma all’Acs si lavora così, ed ecco lasciti e donazioni arrivare sempre «al momento giusto» fino ad ammontare a 74 milioni di dollari, tanto per adempiere a 5852 richieste di 145 paesi.
Così, là dove c’era una promessa di padre Werenfried alla chiesa martire dell’Ucraina, da agosto c’è un seminario e a opere di edilizia religiosa e formazione teologica è stato dedicato il 24,8 e il 21,4 per cento della raccolta dell’Acs. E siccome «non riesco a predicare davanti a pance vuote», soleva ripetere padre Werenfried, gli aiuti straordinari per le emergenze umanitarie giungono sempre immediati. Con l’1,7 per cento del bilancio 2005, «ci avete permesso di mettere in salvo 22 mila famiglie, di portare i feriti in ospedale e di rifornire tutti di cibo, acqua potabile, vestiario e medicine», ha scritto all’Acs il vescovo dello Sri Lanka. La vita della Chiesa nei continenti è sostenuta anche attraverso intenzioni di messe per sacerdoti in difficoltà (13,8 per cento), apostolato biblico (5,6), mezzi di trasporto (4,4), apostolato mediatico (3,8) e sostentamento alle suore (2,9). Numeri che hanno la concretezza di 100 mila bimbi nigeriani perseguitati dagli estremisti islamici che stringono la Bibbia del fanciullo (40 milioni di copie tradotte dall’Acs in 135 lingue diverse), 500 mila famiglie cubane che hanno arricchito di una statuina del Bambin Gesù il presepe, donazioni all’orfanotrofio di Mayen Abun in Sudan e alla fondazione “Sì alla vita” di El Salvador, programmi di tutela alla famiglia nelle Filippine e di accoglienza di bambini abbandonati in Perù e Colombia. Numeri che hanno la drammaticità dell’VIII Rapporto annuale sulla libertà religiosa nel mondo delll’Acs e che i giornalisti padre Bernardo Cervellera e Magdi Allam lo scorso 27 giugno hanno presentato alla stampa con un appello: «Dire la verità, denunciare con coraggio e onestà gli episodi di persecuzione e violenza, mantenendo alta l’attenzione sulla problematica, senza nascondersi». Del politically correct all’Acs non sanno che farsene.
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