La famosa egemonia culturale c’è ancora, ma è rimasta senza idee
Come se non avesse abbastanza grattacapi, Piero Fassino si è sorbito la depressione degli intellettuali in un incontro che, come ha osservato Pierluigi Battista sul Corriere della Sera, mirava a rinnovare i fasti del rapporto tra cultura e sinistra. Le cronache dicono che un vecchio esperto dirigente come Alfredo Reichlin ha ammonito che, a fronte di una Chiesa che ha imposto il suo ruolo, occorre scendere sul terreno etico anziché polemizzare. Ma a che serve lamentare la svendita di tradizioni e ideali (Giulio Giorello) se non ci si chiede quali ideali possa mai propugnare chi sostiene che le idee sono mero frutto di assemblaggi neuronali e quindi sono puramente casuali? Se poi si identifica la crisi della cultura laica nell’incapacità di «far capire che la ricerca è un’attività profondamente etica» (Claudia Mancina), allora siamo alla frutta. Chiedersi se per caso le idee altrui hanno qualche fondamento? Per carità. Il problema è “educare il popolo” traviato, in pieno stile di scuola quadri delle Frattocchie.
Non ci si avvede neppure che il problema non è una Chiesa che sa imporre il suo ruolo, quanto il fatto che una parte significativa del mondo cattolico (a cominciare dal Papa) ha compreso l’importanza di scendere sul terreno dei contenuti delle questioni etiche poste dagli sviluppi tecnoscientifici in un modo generalmente “umano” e non confessional-clericale, riuscendo così ad aprire un dialogo con il mondo non cattolico sui temi centrali della società contemporanea. Occorrerebbe capire che, a fronte di uno sforzo verso un atteggiamento aperto e propriamente “laico”, le vecchie dicotomie laiciste non funzionano. Ha ragione il direttore di questa rivista a dire che qui siamo in presenza di «anziani signori aristocratici che dettano legge ai vertici dell’industria culturale, ma non hanno più alcuno slancio vitale». Siamo di fronte al paradosso di un centrodestra i cui vertici politici hanno una scarsa sensibilità per il ruolo della cultura e trascurano i fermenti che si sviluppano nella sua area, e di una sinistra che ha l’ossessione di controllare le “casematte” culturali, e di fatto le controlla, e vive però una condizione di vuoto di idee e di stanchezza intellettuale impressionante.
Certo, le casematte le controlla, eccome. Lo sa bene chiunque abbia provato a distaccarsi dai paradigmi dominanti. Una decina di anni fa tentai di pubblicare un libro (Il giardino dei noci. Incubi postmoderni e tirannia della tecnoscienza) che – modestia a parte, come si suol dire – anticipava molti temi oggi correnti. Uscì come “samizdat” presso una piccolissima casa editrice, dopo aver ricevuto rifiuti a raffica con la motivazione che era soltanto l’espressione di una crisi “mistica” dell’autore. Un guardiano di casamatta, che in quanto lettore di un editore l’aveva fatto respingere, ebbe pure l’impudenza di attaccare le tesi del libro (sebbene non fosse pubblicato) riferendosi pretestuosamente a un altro mio libro in cui si parlava di tutt’altro. Una sorte meno grama ebbe un altro mio libro (La macchina vivente), ma soltanto dopo una lunga serie di rifiuti motivati dal peccato di “spiritualismo”. Siamo in tanti a poter raccontare storie analoghe.
L’incontro tra Fassino e gli intellettuali avrebbe dovuto svolgere il seguente tema: l’egemonia basata sulla prepotenza anziché sul confronto delle idee è controproducente alla lunga, ed è perverso abbandonarsi al delirio di potenza derivante dal controllo della maggior parte dell’editoria e della stragrande maggioranza delle manifestazioni culturali. Difatti, l’egemonia senza idee può far soffrire parecchia gente ma, alla lunga, è destinata a dissolversi.
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