La figuraccia alitaliana di Prodi

La regola numero uno dell’acquisto è quella dell’avvoltoio. Quando eventuali interessati capiscono che un venditore la tira per le lunghe, malgrado giorno dopo giorno il valore del bene che deve cedere diminuisca anche se lui non lo vuole ammettere perché il deprezzamento è frutto dei suoi errori pregressi, allora i potenziali compratori aspetteranno solo l’ultimo secondo per farsi vivi. È ovvia la ragione. A quel punto il venditore avrà l’acqua alla gola, il prezzo del bene in cessione sarà sceso asintoticamente verso lo zero, o comunque ai minimi. E, per gli acquirenti, si giocherà la partita a chi spolpa la carcassa. È esattamente quanto è avvenuto per Alitalia. Complice una lunga catena di governi negli ultimi anni, da quando il centrosinistra credette di nascondere le perdite di gestione e i crescenti guai finanziari della società lanciando la finta carta del secondo hub su Malpensa. Ma la responsabilità finale del guaio è solo del governo che ha acceso formalmente le procedure di cessione di Alitalia, ma l’ha fatto in modalità create apposta per scatenare l’effetto avvoltoio. Il governo Prodi, naturalmente.
Per tentare di diluire nel tempo le legittime e scontate reazioni al danno dell’abbandono del progetto Malpensa (danno per gli azionisti di Sea, Comune di Milano e Regione Lombardia, ma danno anche per l’intera economia del Nord-Ovest) Prodi e Padoa-Schioppa hanno pensato di darsi un anno e mezzo di tempo, con due successive fasi di gara-non gara. Giustamente, il mercato e i suoi attori veri, quelli che ne sanno di traffico aereo, non hanno preso sul serio la cosa, aspettando che Alitalia si avviasse ad esaurire la sua cassa, per farsi sotto solo quando l’azionista pubblico fosse stato nell’impossibilità di dire no, qualunque fosse il basso prezzo offerto. Tranne Air France, il partner al quale Prodi ha sempre pensato visto che conosce meglio di tutti i conti disastrati di Alitalia grazie al fatto che Jean-Cyril Spinetta siede nel suo cda da anni. La stessa AirOne, candidata sin dall’inizio da Banca Intesa in concorrenza ai francesi, non ha mai formalizzato un’offerta realmente vincolante, poiché fino alla trattativa in esclusiva concessa da palazzo Chigi ai francesi direttamente con i vertici di Alitalia non si era ancora entrati in fase di offerte vincolanti. Questa singolare procedura era costruita apposta perché, nel frattempo, Alitalia cedesse gli slot su Malpensa, mettendo tutti di fronte al fatto compiuto e precostituendo la base per il sì definitivo ad Air France, ma solo dopo un ulteriore giro di tavola governativo, sulla base dell’ipotesi che, a quel punto, se davvero Intesa ci teneva così tanto poteva sempre lanciare un’opa in Borsa su Alitalia, a prezzi sicuramente maggiori dei francesi, mettendo così Prodi in condizione (se i francesi non avessero rilanciato) di dire: «È il mercato, ragazzi».
La mossa è finita nel nulla, per via della crisi di governo. E ora la partita sconta il giudizio della magistratura sui ricorsi, il rilancio di Banca Intesa prima del tempo, il nervosismo crescente dei francesi di fronte all’ingarbugliarsi dei fili. La solita figura di cacca, per l’Italia. Visto che il governo che gestirà le elezioni è comunque dimidiato nei poteri, dovrebbe accogliere subito la moratoria per Malpensa, richiesta da tutto il Nord. E affidarsi a un lodo esterno per la fase finale della cessione di Alitalia, visto che continuando così saranno i magistrati a rischiare di avere l’ultima parola.

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