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Arresti oltre confine, confessioni in tv, stranieri espulsi. La Cina torna alla repressione totale

Nel 2016 è peggiorata la persecuzione e l’incarcerazione da parte del partito comunista cinese di chiunque si opponga al governo, in qualunque ambito e per qualunque motivo.

PASTORE PROTESTANTE ARRESTATO. Il 28 gennaio China Aid ha dato in esclusiva la notizia dell’arresto di Gu “Joseph” Yuese. Il pastore protestante è a capo della chiesa di Chongyi, a Guangzhou, la più grande tra quelle riconosciute dal partito nel Movimento delle tre autonomie (che regola i cristiani protestanti così come l’Associazione patriottica regola i cattolici). Non solo, Gu è membro del comitato permanente del Consiglio cristiano cinese (Ccc) e a capo del comitato provinciale del Zhejiang del Ccc. Un pezzo molto grosso insomma.

1700 CROCI DISTRUTTE. Nonostante gli ottimi rapporti con il partito comunista, Gu non ha potuto fare a meno nei mesi scorsi di criticare duramente la campagna di demolizioni di croci e chiese. Dall’inizio del 2014 nel Zhejiang il partito ha fatto rimuovere almeno 1.700 croci e distrutto decine di chiese per frenare la crescita del cristianesimo. Solo nella città più importante della provincia, Wenzhou, i cristiani rappresentano il 15 per cento della popolazione e superano ormai il milione.

COME NELLA RIVOLUZIONE CULTURALE. Dopo aver dimesso Gu da tutte le sue cariche, il partito l’ha fatto sparire, inviando una lettera alla famiglia che riporta: «Gu è stato preso in custodia e posto sotto sorveglianza in una località designata». Tradotto, significa che è stato rinchiuso in una “prigione nera“, che la polizia usa per estorcere confessioni ai cittadini sotto tortura e nelle quali chiunque può essere legalmente imprigionato fino a sei mesi senza la necessità che venga formulata un’accusa formale. «Gu è il leader cristiano più importante mai arrestato dalla fine della Rivoluzione Culturale», dichiara Bob Fu, presidente di China Aid. «Questo significa che il giro di vite nei confronti di chi si oppone alla demolizione di croci sta peggiorando».

CINQUE LIBRAI SCOMPARSI. Ma non è solo la libertà religiosa a deteriorarsi nel paese. Da mesi tiene banco a Hong Kong la misteriosa scomparsa di cinque librai, tutti collegati all’editrice Mighty Current Media, che pubblica spesso le magagne, i gossip e i sospetti legati ai conti in banca dei più importanti membri del partito comunista cinese. Tre di questi, Lu Bo, Zhang Zhiping e Lin Rongji, sono scomparsi a ottobre mentre si trovavano in Cina (guarda un po’). Sempre a ottobre, Gui Minhai, provvisto di cittadinanza svedese, ha fatto perdere le sue tracce mentre si trovava in Thailandia. Il quinto, Lee Bo, è sparito a dicembre dopo essere andato personalmente a consegnare copie del libro Le sei donne di Xi Jinping a un cliente a Hong Kong, che gliele aveva ordinate per telefono. Testimoni affermano di averlo visto entrare in un’auto, costretto da alcuni uomini. Dopo giorni di silenzio assoluto, ha all’improvviso telefonato alla moglie dalla Cina, dicendole che si era recato là volontariamente e che stava offrendo il suo aiuto in non meglio precisate «indagini».

CONFESSIONI IN TV. Gui Minhai, che tutti pensavano essere in Thailandia, è stato poche settimane fa messo in mostra sulla televisione di Stato cinese intento a confessare crimini commessi 11 anni prima: secondo la confessione andata in onda in prima serata, è stato lui a tornare volontariamente in Cina per scontare la sua pena, distrutto dal senso di colpa maturato negli anni. Chi ci crede alzi la mano. L’11 gennaio è scomparso anche Li Xin, giornalista cinese critico del regime, da un anno andato a vivere in Thailandia. Probabilmente è stato riportato indietro.

STRANIERI ARRESTATI. Pechino quindi ha cominciato a uscire dai suoi confini per andare ad arrestare cittadini cinesi, in violazione del diritto internazionale, per dare l’idea che nessun critico del regime può essere al sicuro, neanche fuori dal paese. Di recente ha anche fatto il contrario, cacciando dalla Cina cittadini stranieri scomodi. È la sorte capitata al 35enne volontario svedese Peter Dahlin, arrestato il 3 gennaio con l’accusa ufficiale di «minacciare la sicurezza dello Stato»: formava gli avvocati cinesi che si battono per i diritti umani. Dopo averlo fatto passare a sua volta sulla tv di Stato in prima serata, dove ha confessato di aver «offeso i sentimenti del popolo cinese» e si è scusato, Dahlin è stato espulso.

CRONISTA CACCIATA. Allo stesso modo non è stato rinnovato il visto alla corrispondente in Cina del magazine francese L’Obs, che il 31 dicembre ha dovuto lasciare il paese. La colpa della bravissima Ursula Gauthier è quella di aver scritto un articolo ricordando la repressione cinese degli uiguri nello Xinjiang, che si trova spesso alla base dell’aumento degli attentati terroristici nella provincia. Quando si tratta di arrestare degli oppositori, insomma, per il partito comunista non esistono più né nazionalità, né religione, né leggi, né confini. Del resto, nessuno nella comunità internazionale ha protestato.

@LeoneGrotti

Foto Ansa/Ap

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