
Giulia Anchisi: «Essere artisti richiede molto coraggio»

Il 2017 è un anno importante per Giulia Anchisi, classe 1992, formata alla capitolina Accademia Nazionale di Danza, già nel cast di Anni felici di Daniele Lucchetti e Confusi e felici di Massimiliano Bruno, e ora in uscita con tre film tra i quali Sole cuore amore di Daniele Vicari, accanto a Isabella Ragonese, Francesco Montanari, Eva Grieco. Un film, quello firmato dal regista del pluripremiato Diaz, in sala da giovedì 4 maggio, che segue la routine di una romana madre di famiglia (Ragonese) divisa tra andata e ritorno casa-lavoro nella distanza incolmabile tra centro e periferia, il terno al lotto coi mezzi pubblici, i figli da crescere, e un marito amorevole e disoccupato.
Insomma, un logorio sociale che coinvolge parallelamente anche l’amica Vale (Grieco), danzatrice contemporanea che insieme alla partner Bianca (Anchisi) diventa testimone di un altro spaccato di realtà, quello della vita notturna. E del nuovo film di Vicari parliamo con Giulia Anchisi, che qui dà corpo e personalità a una performer tanto affascinante e vulnerabile quanto ambigua, misteriosa, sfuggente: capace, più per azione che per parola, di mettere in crisi le certezze, i sentimenti, e pure l’identità di chi le sta vicino.
Sole cuore amore è il suo grande esordio al cinema. Che personaggio è Bianca?
Con Bianca è stato un vero colpo di fulmine: sin dalla lettura del provino, prima ancora di conoscere la sceneggiatura del film. Tra noi ho subito notato che c’era un tratto in comune e sta nel fatto che Bianca è un personaggio poco prudente, esattamente come sono io. Ma devo dire che personalmente ci sto lavorando su, sto cercando di avere un po’ di prudenza in più.
A che tipo di imprudenza si riferisce?
Bianca sta insieme a un uomo poco raccomandabile, soprattutto per una giovane donna. Però lei ritorna da lui, ritorna comunque: nonostante quello che succede, nonostante lui abbia atteggiamenti aggressivi e comportamenti poco docili. E in tutto il suo percorso mantiene un modo di fare e di essere – mi si conceda il termine – molto “frivolo” ed estroverso: è una ragazza molto disinibita, soprattutto a livello fisico. Per sintetizzare in un’immagine, penso alla scena della doccia di Bianca con Vale: è il momento in cui lei si sviluppa, si rivela totalmente. Io provengo dalla danza, e la danza ti riporta a un contatto molto naturale col tuo corpo, e in questo, cioè nell’approccio al personaggio di Bianca, è stato certamente un punto a mio favore. Però lei è anche ambigua, poco trasparente: io invece cerco di essere sempre onesta e chiara, e tendo sempre ad autoanalizzarmi. Bianca non lo fa. Non lo fa mai. E cede alla sua frivolezza anche in situazioni così rischiose da mettere in pericolo la sua vita. È il suo carattere, ed è la sua condanna. Se si salva, lo deve a qualcun altro, lo deve a Vale.
Bianca e Vale si definiscono in relazione l’una con l’altra. Questo richiede anche un certo feeling recitativo: come avete lavorato su queste due femminilità?
Nella ricerca di questi due ruoli, con Daniele abbiamo lavorato principalmente sull’improvvisazione. In un primo incontro ci siamo concentrati su una scena che non è parte del film ma lo precede e riguarda l’inizio della conoscenza tra Bianca e Vale. Era necessario per definire quella complementarità tra le due. In quell’occasione, Daniele ci ha chiesto di focalizzarci sul dato anagrafico, cioè sul fatto che io ero la più piccola, e di fare leva sulla mia giovane età per far emergere l’indole trasgressiva di Bianca (come il prendere una pasticca, azione che torna anche nel film) insieme al suo bisogno di essere protetta, salvata in qualche modo. Bisogno che esercita su Vale e a cui Vale reagisce.
C’è quindi un legame resistente tra loro, ed è partito da lì il nostro lavoro sui personaggi. Conosciamo Bianca in rapporto a Vale: non a caso io non ho scene senza Eva Grieco, con la quale c’è una correlazione sia dal punto di vista recitativo che da quello della danza, perché Eva è anche la coreografa del film. E le performance presenti derivano da un lavoro di danza di ricerca che abbiamo fatto insieme.
Nel film la danza è ritratta con un po’ di malizia…
Non solo nel film. La danza, e nello specifico la danza di ricerca, in Italia (all’estero non è così) viene vista in questi termini. C’è un momento nel film che rende esplicito questo aspetto, ed è quando due ragazzi in macchina definiscono la performance appena vista come una bella “animazione” con tante belle “mosse”. È una scena che sintetizza bene l’idea di come il nostro lavoro, la nostra professione e la nostra arte non vengano capiti né riconosciuti. Permane purtroppo un’idea maliziosa intorno a questa forma artistica che il film rende molto esplicita.
Lei nasce danzatrice e ora si dedica al cinema. Perché questo cambiamento?
Ho dedicato tutta la mia adolescenza allo studio della danza e ricordo che quando ero impegnata con l’Accademia mi dicevo che appena avessi avuto un po’ di tempo avrei studiato recitazione. Così, dopo il diploma, ho lasciato la danza per due anni, ma l’ho ripresa perché studiando recitazione ho capito che mi serviva ancora, e molto anche. La danza non l’abbandono, però sono innanzitutto un’attrice, e voglio continuare a esserlo.
Ma quanto è difficile intraprendere questa carriera?
Lavorare come attore (ma vale anche per i ballerini) vuol dire essere scelto; vuol dire attendere una risposta, il che ti mette in bilico soprattutto a livello emotivo. Bisogna maturare un carattere molto forte per affrontare una messa alla prova continua e sfiancante. Io sto provando a costruirmi la mia strada da sola, col massimo impegno e dedizione, contando sulle mie forze e le mie capacità: in questo senso, l’esordio nel film di Daniele significa per me un inizio molto importante.
Intanto ci sono altri due titoli in uscita.
Ho appena finito di girare Terapia di coppia per amanti di Alessio Maria Federici, tratto dall’omonimo romanzo di Diego De Silva, che sarà al cinema da ottobre. Nel frattempo sono anche presente in Youtopia di Berardo Carboni, che dovrebbe essere in sala prima dell’estate. E poi sto aspettando delle risposte per alcuni provini: quelle risposte delle quali parlavamo prima. Aspetto, resto in bilico e non anticipo nulla.
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