
La morte “bella” di Dawn, il suicidio assistito diventa show e sorsi di champagne

La telecamera inquadra il volto del giorno del suicidio assistito, quello di una donna inglese del Kent di 76 anni dal sorriso lieto e garbato: «Circondata dai suoi amici, Dawn Voice-Cooper sorseggia champagne, fuma una sigaretta e poi ascolta la sua canzone preferita un’ultima volta. È morta pochi minuti dopo». La donna brinda sorridente con un flûte, filmata e immortalata sulla copertina del 2 novembre dal Mirror, tabloid che lei stessa ha voluto con sé fino all’ultimo istante «per raccontare la sua storia», o meglio la sua fine nella clinica svizzera dove ha chiesto e ottenuto di morire con una dose fatale di barbiturici. Il reportage tutto video e immagini ben confezionate si intitola “My beautiful death”: «Le sue ultime parole in lacrime agli amici commossi e al personale medico riunito al suo capezzale – scrive la giornalista del Mirror – sono state semplicemente: “Grazie, grazie a tutti”».
Vuoi tu, Dawn, il suicidio assistito?
Era un addio ma sembrava un matrimonio, la celebrazione di un sì, amici, cellulari, telecamera accesa: sembrava – il letto di Dawn Voice-Cooper adagiata tra coperte e lenzuola dai colori pastello – l’altare di un rito officiato dalla dottoressa Erika Preisig, presidente dell’associazione Lifecircle (che attraverso una fondazione, Eternal Spirit, presta suicidio assistito a pazienti di ogni paese) con tanto di pubblica lettura: “Come ti chiami?”, “Dawn Voice Cooper”. “Qual è la tua data di nascita?”, “26 giugno 1945”. “Puoi dirmi perché sei venuta qui a Lifecircle?”, “Voglio una morte assistita perché la qualità della mia vita non è buona e peggiorerà”. “Abbiamo inserito un ago endovenoso. Dawn sai cosa succederà se azioni questa valvola?” “Sì, il farmaco entrerà nel mio corpo, cadrò in un sonno profondo e poi morirò”. “Se questo è il tuo ultimo desiderio, puoi aprirla”. Poi, ascoltando Day is Done di Nick Drake, abbracciata a un pupazzo e con le mani strette in quelle dei suoi amici Alex Pandolfo e Miranda Tuckett, la donna ha girato la valvola.
Pochi minuti prima di realizzare il suo sogno di una morte “in pace e dignitosa”, mentre un’infermiera posizionava il suo letto davanti alla finestra con vista su un bosco lussureggiante, la donna aveva esclamato: «È bellissimo qui in mezzo agli alberi. Penso che debba essere il posto più bello in cui morire». C’è anche una foto di qualche ora prima, la donna in piedi con un bastone su un tappeto di foglie dorate, il cielo blu su cui si arrampicano decine di rami. Pandolfo, che ha iniziato a soffrire di Alzheimer e ha già deciso di morire a Lifecircle prima di peggiorare, assicura che quella di Dawn Voice-Cooper «è stata una delle morti più belle e amorevoli a cui ho assistito, nulla a che vedere con le inaccettabili, prolungate e tormentate morti dei miei amati genitori e della morte che mi riserverà l’Alzheimer», «Vivo in pace sapendo che quando arriverà il mio momento di morire potrò riposare tra le braccia della dottoressa Erika Preisig all’inizio del mio viaggio verso l’ignoto».
Usare Dawn per cambiare la legge
Ovviamente «la storia e l’esperienza di Dawn di dolore e poi di pace grazie a Lifecircle verranno usate mentre continuo a chiedere un’indagine parlamentare basata su prove sulla morte assistita volontaria nel Regno Unito», «deve essere l’ultimo caso di persona costretta a lasciare il paese per ottenerla. Il momento di cambiare la legge è arrivato», ha chiosato Trevor Moore, presidente di My Death My Decision, commentando la morte di una delle sue più celebri attiviste. Perché è qui che finisce la fiction e inizia la realtà: la morte di Dawn finisce in copertina mentre il progetto di legge per legalizzare il suicidio assistito nel Regno Unito presentato dalla baronessa Molly Meacher e che ha superato la seconda lettura alla Camera dei Lord, incassa l’opposizione non solo della maggioranza dei Pari: oltre alla lettera aperta di ferma condanna del ddl firmata da 1.689 medici, farmacisti e studenti di medicina e quella di tre esponenti religiosi di vertice quali l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby, anglicano, il cardinale Vincent Nichols e il rabbino Ephraim Mirvis, contrarietà è stata manifestata dal ministro della Sanità Javid e dal primo ministro Boris Johnson.
Il progetto della baronessa Meacher che prevede la fornitura del suicidio assistito, cioè di un farmaco letale, solo per gli adulti malati terminali con meno di sei mesi di vita, non piaceva nemmeno a Dawn Voice-Cooper che da sempre sognava per il suo paese il modello Canada, dove anche i malati non terminali come lei potessero decidere come e quando morire. Prostrata da artrite, emorragie cerebrali, attacchi di epilessia («La gente mi dice spesso, “Oh, stai bene, sembri giovane, sei solo po’ zoppa”, ma non sa cosa sta succedendo davvero dentro di me, non conosce la gestione quotidiana dei miei disturbi») la donna ha trascorso i suoi ultimi anni militando nelle fila di My Death My Decision per la legalizzazione della morte assistita nel Regno Unito. Voleva che il suo suicidio assistito fosse d’esempio ai detrattori: mostrare che si fonda su solide garanzie, ottime ragioni e sulla piena facoltà di intendere e di volere di chi lo richiede.
«Ma io non voglio uccidere nessuno»
«Dawn sperava che condividendo il suo viaggio potesse dimostrare l’esistenza di rigorose salvaguardie per impedire gli abusi», scrive il Mirror. «E ha aggiunto: “Vorrei sfatare tutti i miti sulla morte assistita, che le persone finiranno per esservi costrette, che è contro Dio. Vorrei solo che la gente sapesse che è una scelta dignitosa. Che conferisce dignità alle persone (…), autonomia. E consente alle persone la cui qualità di vita è bassa e non può migliorare di prendere il controllo di se stesse e della propria vita. Perché le persone devono soffrire? Perché è accettabile? Non lasceremmo soffrire i nostri animali”».
Così, nel 2017, ha deciso di presentare la sua richiesta a Lifecircle a Basilea e di farsi aiutare dalla dottoressa Erika Preisig, assolta a maggio dal tribunale cantonale di Basilea dall’accusa di omicidio volontario di una anziana depressa. Ma «io non voglio uccidere nessuno», ha ribadito il medico in una recentissima intervista, specificando che in Svizzera è il paziente e non il medico ad attivare la medicina in vena, in modo sicuro e senza sofferenza anche in caso di paralisi. Quanto all’anziana signora svizzera accompagnata alla morte «era stata in un reparto psichiatrico per tre mesi e le era stata diagnosticata una depressione. Ho parlato con suo figlio, il capo della casa di cura dove si trovava e il suo custode. Ma non sono riuscito a trovare uno psichiatra per la valutazione».
Nel dubbio il tribunale ha deciso in appello che chiedendo la morte la paziente doveva essere in grado di intendere e di volere, ma «si poteva vedere il peso del caso giudiziario sulla dottoressa Preisig. Eppure nonostante i rischi personali il suo impegno per Lifecircle e la morte assistita non è cambiato», scrive la giornalista del Mirror, invitata dal medico a cena a casa sua, insieme a Dawn e i suoi due accompagnatori, la sera prima dell’infusione letale. Quella sera Dawn inciampò «così la mattina seguente, quando l’ho vista salire lentamente i gradini di Lifecircle, è stato commovente pensare che questi erano gli ultimi passi che avrebbe mai fatto».
Va’ dove ti porta la convinzione (e non la pietà)
Un’altra morte in diretta e con un fine preciso. Tutto è andato secondo i piani di Ángel Hernández, il 72enne che nell’aprile del 2019 porse una cannuccia immersa in un bicchiere di letale pentobarbital a sua moglie María José Carrasco: il pubblico ministero ha ritirato l’accusa di aiuto al suicidio assistito dopo l’entrata in vigore della legge spagnola sull’eutanasia, legge che il tribunale ha applicato retroattivamente salvando Hernández dal carcere. Ricordate il video agghiacciante dall’appartamento di Madrid («Vuoi ucciderti?», «Sì»)? Era stato quel filmato caricato dall’uomo su YouTube a riaprire il dibattito sull’eutanasia, «quest’atto d’amore poteva essere evitato» andava ripetendo l’attuale premier Sànchez in tv promettendo una legge. Era stato quel video riproposto dai giornali a colpire gli spagnoli, quella liturgia dei «sì» della donna ripetuti come in preparazione a un macabro rito così perfettamente speculari alle ostinate immagini diffuse oggi sugli ultimi istanti di vita di Dawn.
Un’altra morte in diretta e con un fine preciso: superare il confine, violare lo spazio sacro dell’ultimo fiato dell’esistenza fino al capezzale di una donna sconfitta non dalla malattia ma dallo spietato tributo alla causa dell’autodeterminazione. «Quest’atto d’amore poteva essere evitato», era il j’accuse dell’uomo di Madrid convinto fino a uccidere per rivendicare la morte assistita per la moglie malata di Sla, «quest’atto d’amore può diventare realtà» quello di Dawn, convinta fino a morire per rivendicare il diritto al suicidio assistito anche per quelli come lei, di cui la stessa giornalista del Mirror confessa di fare fatica a comprendere le ragioni per uccidersi (e che però, scrive, sono costretti a pagare 10 mila sterline per andare in Svizzera o esporre i propri cari al rischio di venire perseguiti dalla legge per averli aiutati). Un altro “ultimo atto” pieno di sapienti inquadrature, liturgie, emozioni e omissioni. Perché dove porti il trionfo di una convinzione più forte di ogni pietà (nei confronti di bambini, i disabili, i malati psichici), è un film che tra Olanda, Canada e Paesi Bassi abbiamo già visto.
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