
La preghiera del mattino
«La candidatura di Berlusconi è un vicolo cieco», dice Letta. E lui di vicoli ciechi se ne intende

Su Formiche Corrado Ocone scrive: «Se il fine di Matteo Salvini è quello di confondere gli avversari, la sua tattica sembra riuscire alla perfezione». Certamente, ma se il fine degli avversari è confondere Salvini, anche questo sembra un obiettivo raggiunto.
Su Formiche il senatore del Pd Dario Stefano dice: «Credo che l’Italia, a prescindere da chi andrà al Colle, non abbia bisogno di elezioni anticipate». Ecco un altro testimone di quell’atteggiamento immortalato da una battuta di Pier Luigi Bersani, riferitami da Jacopo Tondelli: le elezioni le vinceremmo sempre, se non fosse per questo maledetto suffragio universale.
Su Open si riporta questa frase inclusa in un comunicato della direzione del Partito democratico: «Il Pd ritiene che sia necessario individuare una figura di alto profilo istituzionale e quindi non di parte». Bè, è un bel passo in avanti: sarebbe stato grave se avessero proposto una figura di basso profilo istituzionale. Un dubbio: Sergio Mattarella o Giorgio Napolitano erano figure di “parte” o no? E se no, perché?
Su Dagospia si riporta un articolo di Carlo Bonini sulla Repubblica nel quale si scrive: «“Ferma l’esclusiva attribuzione al Csm del merito delle valutazioni, su cui non è ammesso alcun sindacato giurisdizionale, la motivazione posta a fondamento della valutazione si manifesta gravemente lacunosa e irragionevole». Come dire che la decisione insindacabile spetta all’organo di autogoverno delle toghe, ma purtroppo è sbagliata e quindi va cancellata. Difficile non vedere una sovrapposizione di ruoli, se non un’invasione di campo, che rischia di delegittimare definitivamente un sistema già di suo vacillante». Lo stato in cui è ridotto il Csm e lo squilibrio istituzionale evidente nello scontro con il Consiglio di Stato evidenziato da Bonini, danno un altro motivo per evitare di insistere sulla rielezione di Sergio Mattarella. Il presidente uscente è senza dubbio una persona moralmente ammirevole, è stato senza dubbio pressato da una situazione straordinaria. Come presidente del Csm poteva fare poche cose: ma anche quelle poche non le ha fatte. Se è successo perché era stressato, bene, se ne prenda atto e lo si lasci riposare.
Su Formiche Marco Damilano dice: «Il primo, il più macroscopico, riguarda Palazzo Chigi. Se Draghi andasse al Quirinale, chi prenderebbe il suo posto alla guida del governo? Sicuramente ci sarebbe in ogni caso un altro esecutivo, ma per il resto non si è ancora capito nulla. Chi lo presidierebbe? Quali partiti lo appoggerebbero? E con quali prospettive? Niente, non si sa niente». È la politica, bellezza! Le scelte nascono dalla discussione pubblica, dai rapporti di forza e dal voto popolare, non è che la regola di “tutto deciso anticipatamente a Bruxelles e dintorni” debba durare per sempre.
Su Startmag Francesco Damato scrive: «Convinto evidentemente pure lui da un noto e felice messaggio pubblicitario che una telefonata può allungarti la vita, anche di candidato al Quirinale, Mario Draghi ha affidato a un ministro questo messaggio per ora raccolto e rilanciato solo da Annalisa Cuzzocrea sulla Stampa, in prima pagina: “Se toccasse a me essere scelto per il Quirinale, non potrei certo indicare un successore o mettere a punto un nuovo esecutivo. Lascerei mano libera alla politica. Sarebbero i leader a trovare un accordo tra loro”». Più che Draghi o il caos, qui siamo nella situazione: prima il caos poi Draghi.
Sul Sussidiario Antonio Fanna scrive: «Cosa che invece può vantare Elisabetta Casellati: seconda carica dello Stato, eletta anche con i voti dei grillini, donna. E fedelissima del Cavaliere. Che sia lei la sua carta coperta?». Draghi o il Caos-ellati?
Affari italiani scrive: «Secondo La Stampa, la visita di Letta a Palazzo Chigi ha fatto infuriare Berlusconi: “Il leader di Forza Italia è attorniato dallo staff. La notizia lascia tutti stupiti. ‘Che vuol dire che è andato a Palazzo Chigi questa mattina? Prima del vertice?’, chiede Berlusconi. La ricostruzione è confermata da fonti a lui vicine: il fondatore di Mediaset, assicurano, non ne sapeva nulla. Né tantomeno, aggiungono, è stato inviato a far visita a Draghi come emissario del presidente di Forza Italia, come qualcuno potrebbe immaginare. Ma soprattutto: avrebbe taciuto dell’incontro per tutta la durata del summit con i leader di Lega e Fratelli d’Italia, Matteo Salvini e Giorgia Meloni. È una precisazione importante, che dà l’idea di come la partita del Quirinale stia slabbrando ogni certezza e di quanto i sospetti, anche tra amici o alleati, siano diventati la matrice comune delle diverse interpretazioni dei fatti”, scrive La Stampa». Sta diventando una partita a tre: tra Enrico Lettino, Gianni Letta e Silvio Lettone.
Su Affari italiani Carlo Calenda: «Quello che succede è che i partiti politici, che sostengono il governo, perché siamo una Repubblica parlamentare, dicono a Draghi: “È essenziale che lei continui”, e Draghi dice: “Ma io voglio continuare, però non è che ogni volta che io faccio un provvedimento me lo contestate”. Firmiamo un bel patto, come si dice in Germania. Credo che questo sarebbe un modo virtuoso per tenere Draghi a fare un lavoro che nessun altro farà». L’immagine dell’Italia che Calenda esprime è sempre più quella del suo antico amichetto Luca Cordero di Montezemolo: libera e bella, e con i ciuffi al vento.
Su Huffington Post Italia Ugo Magri scrive: «Cinque scenari molto diversi, con un minimo comune multiplo: nessuno di questi personaggi è deputato o senatore». Bella constatazione, e fare il passino successivo: questo parlamento è finito? No? La mamma non vuole?
Su First online Marco Follini dice: «Oggi il presidente della Repubblica esercita una supplenza fortissima, è il vero deus ex machina della vita politica nazionale». Si legge una certa soddisfazione (da parte di uno che non ne ha fatta una giusta in questi ultimi venti anni) su come l’Italia sia stata anomalmente commissariata dal 2011.
Su Huffington Post Italia Stefano Semplici scrive: «Le questioni legate al fine vita sono da tempo oggetto, anche all’interno della Chiesa cattolica, di una riflessione articolata e complessa, che mal si adatta alla contrapposizione secca fra il paradigma della indisponibilità e quello della disponibilità della vita, tanto semplice quanto fuorviante». Come si dice bene nel Vangelo: “Sia invece il vostro parlare: forse, forse; il di più viene dal maligno”.
Sugli Stati Generali Paolo Manfredi scrive: «La prossima elezione del presidente della Repubblica coinciderà con il frangersi definitivo dell’onda lunga di Tangentopoli». Ecco una constatazione particolarmente intelligente: dopo trenta anni nei quali le scelte di fondo della vita della nostra Repubblica sono state prese sotto la tutela di magistrati e di Bruxelles, la debolezza di questi due soggetti ci dà oggi l’occasione di fare una scelta fondativa di un possibile nuovo destino.
Su Fanpage si riporta questa frase di Enrico Letta: «La candidatura di Berlusconi è un vicolo cieco». Credo che si debba tener conto di un’osservazione come questa fatta dal segretario del Pd prestatoci dai francesi. Infatti, se non fosse per un maledetto australiano e per una tosta colombiana, Enrico Lettino sarebbe oggi il campione mondiale dei “vicoli ciechi”.
Su Tgcom Matteo Renzi dice: «Mario Draghi a Palazzo Chigi “è una garanzia per il paese nell’anno di legislatura che ci rimane”, ma al Quirinale “garantisce l’Italia per sette anni”. Secondo Matteo Renzi, leader di IV, “sono entrambe buone soluzioni”, ma se Draghi diventerà presidente della Repubblica dovrà esserci un accordo politico contestuale sul governo”. E in questo caso, anche se improbabile, un governo dei leader “ha un senso”». Come al solito il nostro Renzi si presenta nella sua doppia veste di dottor Jekyll e di mister Hyde. Il brillante politico quarantenne sveglio come un furetto e come uno scienziato scrupoloso, appunto un dottor Jeckyll, individua il punto centrale della situazione: all’Italia serve un Mario Draghi che garantisca per i prossimi sette anni un ritorno della politica alla sua normalità. Poi c’è la sua anima da topino nel formaggio, da vorace mister Hyde che non vuole sciogliere il parlamento perché non gli conviene.
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