Dalle polemiche sul «populismo giudiziario» all'oggettiva mancanza di alternative al carcere. L'ex procuratore dei minori Ciro Cascone spiega perché inasprire le pene ha senso, ma senza alleanza scuola-famiglia perderemo del tutto i "ragazzi invisibili"
Il murales che ritrae due bambine al Parco Verde di Caivano (Napoli) dove a luglio due cuginette di 13 anni sono state violentate da un branco di coetanei e ragazzini poco più grandi (foto Ansa)
«Populismo giudiziario», «deriva panpenalista e carcerocentrica», «slogan fuori dalla realtà», «sconvolgente», «imbarazzante». Non piace (eufemismo) alla Camera Penale di Milano, tanto meno a chi come don Gino Rigoldi lavora con i minori finiti dietro le sbarre, il Decreto Caivano approvato il 7 settembre dal Consiglio dei ministri. Non piace la sostanziale equiparazione degli indagati minorenni a quelli maggiorenni, l'ampliamento della custodia cautelare e della facoltà di adottare misure pre-cautelari da parte del questore, l'inasprimento delle pene per detenzione di armi o droga, l'“accanimento” verso i genitori che rischierebbero due anni di reclusione in caso non mandassero i figli alla scuola dell'obbligo. Non piace insomma la cosiddetta “pedagogia della punizione”, tanto meno l'idea di riempire carceri già sovraffollate di giovani: il problema, ripetono in tv, radio, sulla stampa, è l'educazione, la rieducazione, progetti di reinserimento, «mentre chiediamo a...