Intercettazioni, Tosoni: «Il bavaglio è un fatto di assoluta civiltà»

Di Carlo Candiani
07 Ottobre 2011
L’avvocato Paolo Tosoni, presidente di Libera Associazione Forense, spiega a tempi.it che il cosiddetto "bavaglio" impedirà alla nostra società di trasformarsi in un "Grande Fratello": «Pubblicare sui giornali notizie che non hanno rilevanza penale è un'anomalia, un'assurdità tutta nostra»

L’uso delle intercettazioni durante le indagini e la loro pubblicazione sono ancora al centro del dibattito politico e giudiziario. Ora, il motivo del contendere sono gli emendamenti “restrittivi” presentati dal Pdl, votati e approvati, che hanno causato le dimissioni della relatrice del disegno di legge avv. Giulia Bongiorno. «Ogni volta che si legifera in tema di giustizia, mi augurerei ci fossero sempre soluzioni condivise, data l’importanza e la delicatezza del campo istituzionale in oggetto; da anni ormai si scontrano logiche partitiche, come capita in questa vicenda delle intercettazioni» dice a Radio Tempi, l’avvocato Paolo Tosoni, presidente di Libera Associazione Forense. «Siamo abituati da anni alla sovraesposizione mediatica della giustizia, nella fase delle indagini immediate, e ci si scandalizza che si voglia mettere un bavaglio alla stampa. Ma questa abitudine alla pubblicazione è malsana, perché molte intercettazioni riguardano il privato di persone e non a caso c’è bisogno di un’autorizzazione di un giudice per realizzarle, non è un fatto pacificamente da diritto di cronaca, soprattutto per quelle ritenute irrilevanti. Quindi, è errato, da parte dei giornalisti, invocare il diritto di cronaca».

Esistono leggi che regolamentano le “tentazioni giornalistiche”?
Il grande paradosso di questo Paese è che c’è una legge che tutela la privacy e poi si utilizzano le intercettazioni che non hanno neanche rilevanza penale come notizie da sbattere sui giornali: è una contraddizione assoluta. Questo cosiddetto “bavaglio” è un fatto di assoluta civiltà. In Italia, la pubblicazione quotidiana delle intercettazioni è un’anomalia, in questo contesto una legge che cerca di fare retromarcia rispetto ad essa, sembra che faccia scandalizzare tutti, invece è corretta.

Inasprendo anche le sanzioni penali ai giornalisti?
Chiariamo, la sanzione è prevista per chi pubblica intercettazioni, che la magistratura, attraverso l’udienza filtro, ha ritenuto irrilevanti, compiendo così atto illegittimo che deve essere sanzionato anche penalmente. Facendo da vent’anni il mestiere di avvocato, mi accorgo come nei processi l’uso dell’intercettazione estrapolata da un contesto falsifichi il senso della conversazione registrata.

Si parla della “casta” dei politici, che spesso risulta intoccabile, non le sembra che la stessa situazione rischi di presentarsi anche per magistrati e giornalisti?
I politici sono eletti, si può ragionare sui sistemi elettorali e nuove norme di incompatibilità di professione, mentre fai il rappresentante del popolo; la magistratura gode di autonomia e indipendenza, direi giustamente, in una democrazia moderna, ma che rischia di diventare irresponsabilità, se esasperata. Per quanto riguarda i giornalisti, la categoria gode di un potere enorme: oggi, purtroppo, più di una sentenza di condanna, valgono i titoli sparati sui giornali.

Ascolta l’intervista integrale
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Le famose “sentenze di piazza”…
Io ricordo sempre che il processo è pubblico, non l’indagine. Civiltà vorrebbe, almeno come è ancora concepito il nostro ordinamento giudiziario, che il pubblico e i mass media partecipino alle udienze e assistano allo sviluppo del processo. Il volere rendere pubblici i passaggi nelle indagini è una deviazione del sistema e crea disastri, le sentenze di piazza, appunto. Non siamo molto distanti dall’effetto “Grande Fratello”, dove tutto è pubblicabile e dove si vive 24 ore su 24 sotto l’occhio della telecamera.

Qual è il suo giudizio sulla situazione della giustizia, anche alla luce delle recenti sentenze come quella sul delitto di Perugia?
Questa vicenda segna un’ulteriore sconfitta per il nostro sistema giudiziario: è innegabile che c’è stata una significativa carenza di indagini, insufficienti e fatte male, con responsabilità gravi della procura. Le sentenze nei gradi di giudizio hanno dovuto fare i conti con un livello di certezza di prova molto basso, con la Corte d’Appello, che decide grazie ad una perizia che doveva già essere eseguita dal tribunale di primo grado e che non si capisce perché sia accaduto il contrario, e se non c’è certezza di colpevolezza il nostro sistema è tenuto ad assolvere, anche se hai sensazioni diverse. E’ la prova che conta. Resto perplesso davanti ad alcune ovvietà dichiarate da giudice e pubblico ministero all’indomani della sentenza, che sui titoli dei giornali, fanno pensare a contraddizioni ed equivoci che non ci sono. Sarebbe stato meglio un bel silenzio.

Non pensa che raccontando in modo ossessivo questi processi scatti una sorta di cortocircuito massmediatico?
Viviamo in un’epoca in cui l’elemento della comunicazione dei media è inevitabile, bisogna adeguarsi. Una cosa è arrivare ad un accordo sulle intercettazioni, un’altra sono le trasmissioni che parlano dei processi, ecc… Quello sta al buon gusto di chi le produce e alla fine lo spettatore ha quello che si merita. Certo, se certe trasmissioni non fossero guardate, forse cambierebbe qualcosa

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