
«Mio padre, John Fante, che non annoiava mai i suoi lettori con i sentimenti: li commuoveva»
A trent’anni dalla sua morte, John Fante «apre ancora il cuore alla tristezza e alla gioia e alla sofferenza e al trionfo», spiega il figlio dello scrittore, Dan Fante, a tempi.it.
Libera dagli angusti recinti dei circoli intellettuali, la genialità di John Fante «si concentrava su ciò che conosceva meglio, la sua famiglia», spiega Dan, «e dalla famiglia traeva la sua ispirazione». Full of Life, Aspetta primavera Bandini e gli altri romanzi più conosciuti dello scrittore americano di origine italiana parlano di questo e del suo alter ego, l’aspirante romanziere Arturo Bandini. «Il suo talento straordinario» riuscì a commuovere anche il rude Charles Bukowski, che quando lesse Chiedi alla polvere gli parve «fosse capitato un miracolo, grande e inatteso».
UN PICCOLO MONDO UNIVERSALE. L’opera di Fante potrebbe essere la dimostrazione che si può scrivere dell’universale senza parlare dell’universo. E che per commuovere, i sentimenti bisogna saperli suscitare, non descriverli. «John Fante era un maestro della brevità e allo stesso tempo sapeva parlare di quello che aveva nel cuore» ribadisce Dan. Non era un sentimentale, anzi: «A differenza di quanti si concentrano sui sentimenti, lui riusciva a evocarli. I suoi scritti riescono a far ridere e piangere nella stessa frase. Aveva un vero talento per questo», spiega. «Era capace di portare il lettore nel suo mondo senza imbarazzo».
Un talento che nei romanzi autobiografici, viene alla luce, per esempio, nelle descrizioni del padre, il “vecchio” Nick, che gli infilava lo spicchio d’aglio nei pantaloni perché gli portasse bene o che gli consigliava di cospargere di sale il letto per ottenere un figlio maschio. O della madre, descritta come “strega-buona” del focolare domestico, che passava il tempo a sgranare il rosario per la sua salvezza, che regnava nell’antro caldo del cucinino «con pentole piene di dolci intingoli che ribollivano sul fuoco, una caverna d’erbe magiche, rosmarino e timo e salvia e origano, balsami di loto che recavano sanità ai lunatici, pace ai tormentati, letizia ai disperati».
SCENEGGIATORE DI SERIE B. John Fante, spiega Dan, «era uno scrittore conflittuale», spigoloso. Dolce, a volte, ma per nulla sentimentale. Se non per auto-ironia. «Non si preoccupava del mondo esterno», ma da esso venne coinvolto. Avrebbe voluto fare il romanziere, ma il talento della scrittura lo impiegò per campare. E siccome di libri non si campa il più delle volte, lavorò, come altri autori, per Hollywood. «Lì lo hanno pagato profumatamente per scrivere brutti film», prosegue Dan. A Los Angeles, dove Fante mosse i primi passi di scrittore, intrattenne un epistolario con il critico letterario Henry Louis Mencken, che “molestò” mensilmente, finché l’Atlantic Monthly, rivista di cui fu direttore, non gli pubblicò i primi racconti. Poi venne il libro Aspetta primavera, Bandini e la collaborazione proficua (economicamente) con le major di Los Angeles. Erano gli anni Trenta. «Solo verso la fine della sua vita è tornato a scrivere libri», spiega Dan: «Dio solo sa che cosa avrebbe fatto se i suoi primi libri avessero venduto bene! Ne avrebbe potuto scrivere altri dieci».
COSTRUIRE CON LE PAROLE. Qualcosa in comune con il padre Nick Fante, John lo aveva. E non era soltanto il sangue abruzzese. Era la capacità di costruire. «Scrivere un romanzo è molto simile a costruire una casa» spiega Dan, che di mestiere fa anche lui lo scrittore: «Il dettaglio è importante. Lo stile è importante. Le fondamenta sono importanti. Mio padre lo sapeva. Sapeva farlo, il suo lavoro».«Molti scrittori di oggi costruiscono edifici senza finestre. Non ripongono alcuna attenzione alla trama, riversandola tutta nei sentimenti. Tanto da far perdere ai lettori ogni interesse». «Non annoia mai i suoi lettori con i sentimenti: li commuove».
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1 commento
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Grandioso, tutto ho letto di lui.