A Nizza la religione c’entra, eccome

Di Emanuele Boffi
30 Ottobre 2020
Emanuele Boffi
L'Occidente continua a ripetere che "la religione islamica non c'entra" perché non sa più misurarsi con essa: avendo perso la fede, non capisce quella altrui.
@media only screen and (min-width: 501px) { .align_atf_banner { float:left; } }

Da molti anni il mondo ebraico ci ricorda che nella prospettiva del jihad «dopo il popolo del sabato, viene quello della domenica». Da molti anni i cattolici d’Oriente ci ammoniscono sul fatto che le loro sofferenze saranno le nostre sofferenze. «È solo questione di tempo», ci dicono da lustri i sacerdoti di Baghdad, di Mosul, di Aleppo, di Maloula. «Guardate cosa succede a noi», ci dicono gli amici armeni. E cosa succede a loro oggi, non cent’anni fa durante il Metz Yeghern, il grande genocidio dimenticato. Ma qui in Occidente, dalla nostre parti – ieri dalle parti di Nizza -, si continua a non volere vedere le cose così come appaiono e si prosegue a non voler chiamarle con il loro nome. Era già successo con padre Jacques Hamel, sgozzato durante una Messa «in odium fidei» ed è successo anche ieri. Se ne è avuta conferma nelle cronache dei siti online che davano conto dell’attentato in cui sono state assassinate brutalmente tre persone.

L’attentatore, sbarcato a Lampedusa a settembre, ha ucciso nella chiesa di Notre-Dame un uomo e due donne al grido di «Allah Akbar». Però guai a parlare di attentatore islamico, l’assassino era un “islamista”. Al massimo, come ha detto il sindaco di Nizza Christian Estrosi, era un «militante islamo-fascista». Avanti così; è sempre un passo più in là rispetto a definire genericamente «bomber» chi si fa saltare in aria in nome di Allah o «attackers» i terroristi di Al Qaeda, ma si torna sempre al problema originario. L’Occidente non sa chiamare le cose con il suo nome perché ormai non concepisce più che alla base di questa storia vi sia una motivazione religiosa.

Censurare la realtà

Tutti gli elementi in nostro possesso ci parlano di religione. Ce lo dice il luogo dell’attentato, una chiesa. Ce lo dice l’urlo dell’attentatore, “Allah Akbar”, che ci fornisce il movente della sua mente malata. Ce lo dice il contesto in cui questa nuova ondata di attacchi (un altro caso simile ad Avignone ieri, l’uccisione di Samuel Paty qualche giorno fa) sta avvenendo. O forse secondo i nostri osservatori il fatto che il presidente turco Erdogan abbia detto nei giorni scorsi che i musulmani in Francia sono discriminati, non c’entra nulla?

Tutto c’entra e la religione islamica c’entra su tutto. Solo qualche giorno fa abbiamo riportato su tempi.it le parole del filosofo Rémi Brague:

«La differenza tra islamismo e islam è reale, ma è di grado e non di natura. L’islamismo non è altro che l’islam portato fino in fondo, alle sue estreme conseguenze. È una religione strana quella in cui i convertiti sono spinti a uccidere il loro prossimo».

«Quando ci si converte al buddismo, si può diventare vegeteriani; quando ci si converte al cristianesimo, si cerca di amare il prossimo come se stessi, che non è certo semplice; alcuni convertiti all’islam capiscono che bisogna uccidere il prossimo in modo preciso, sgozzandolo».

È ovvio, lo ripeteremo fino alla noia e lo dice anche Brague, non è vero che «tutti i musulmani sono violenti» o che «nel Corano c’è solo violenza», ma va ribadito che «nelle fonti islamiche c’è tutto il necessario per giustificare l’uso della violenza. C’è chi le cerca e chi no». Non tener conto di questo significa censurare un dato di realtà.

Religione di pace

Quante volte dovremo ripetere le sagge parole dello studioso gesuita Samir Khalil Samir?

«Ancora oggi la soluzione è l’integrazione, non il rifiuto dei migranti», però bisogna avere il coraggio di dire che «l’islam fa fatica a integrarsi perché ha una cultura in molti punti opposta a quella attuale dell’Occidente. Dal punto di vista religioso, sociale, dei rapporti uomo-donna, in rapporto al mangiare… è un sistema completo. Che la religione sia diversa, questo non è un problema. Ma il fatto è che nell’islam la religione è legata a un sistema politico, sociale, culturale, storico, di costume, che influenza tutto».

«Si deve anche avere il coraggio di dire che l’islam ha elementi di violenza nel Corano e nella vita di Maometto. Se invece si continua a dire che “l’islam è una religione di pace”, creiamo solo confusione e mistificazione».

Quante volte dovremo porre la domanda che il rabbino Giuseppe Laras rivolse al mondo musulmano dopo gli attentati alla redazione di Charlie Hebdo e all’alimentari kosher Hyper Cacher in Francia?

«È possibile per l’Islàm, in ossequio al Corano e per necessità religiosa intima propria dei musulmani osservanti, e non solo perché richiesto dai governi occidentali o da ebrei e cristiani, accettare teologicamente, apprezzandolo, il concetto di cittadinanza politica, anziché quello di cittadinanza religiosa?». Per Laras, «questa domanda fondamentale, per ignoranza, ignavia e inettitudine, non è mai stata seriamente posta dai politici europei, che hanno responsabilità enormi, anche del sangue sinora versato».

Miscela esplosiva

La Francia, da questo punto di vista, contiene in sé tutte le contraddizioni di questa vicenda. Da un lato, nel nome del politicamente e linguisticamente corretto, non ammette di avere un problema con l’islam. Dall’altro, nel nome di valori laici ormai laicisti, rivendica un’idea di “libertà” (le famose vignette di Charlie Hebdo) che della sfera religiosa e del rispetto che le si deve, se ne fa beffe. E lo fa perché non la capisce, non la contempla, non è più all’interno della sua sfera di comprensione. Continua a ripetere che “la religione non c’entra” perché non sa più misurarsi con essa: la Francia è un paese che, avendo perso la fede, non capisce quella altrui.

La religione c’entra eccome, invece. C’entra con la politica e con le scelte che si fanno. C’entra col fatto che, come diceva sempre padre Samir, «da alcuni anni in Francia il governo può donare terreni per moschee e centri islamici con affitti gratuiti per 99 anni. Così stanno riempiendo la Francia di moschee finanziate da Paesi che sostengono il terrorismo. Fra i politici c’è una perdita del senso morale, dato che sono disposti a tutto pur di accumulare voti. Ignoranza e perdita di senso morale sono una miscela esplosiva».

Foto Ansa

Articoli Correlati