Va bene la globalizzazione in crisi e il ritorno della politica, ma qui tra dirigismo green, protezionismi e bonus a gogò ci giochiamo l’economia
Greenpeace pubblicizza la sua causa alla Corte di giustizia dell’Ue contro la scelta della Commissione di includere gas e nucleare nella “tassonomia verde”, Bruxelles, 18 aprile 2023 (foto Ansa)
Stato-protettore, Stato-investitore, Stato-doganiere, Stato-promotore, Stato-strategico sono solo alcune delle espressioni ricorrenti negli ultimi anni nel dibattito politico e accademico. Sembra che, da dopo la pandemia, le classi dirigenti occidentali abbiano soltanto un punto in mente: lo Stato e il suo ritorno nell’economia. Questo attivismo smanioso viene giustificato alla luce di numerose emergenze: la ripresa post-pandemica, la guerra in Ucraina, le politiche ambientali, la ridefinizione delle catene di approvvigionamento, la competizione tecnologica e industriale. È chiaro che in un mondo dove si ridefiniscono i paradigmi, in cui si passa dalla globalizzazione a forme di regressione della stessa, la politica e di conseguenza lo Stato possano avere un ruolo di maggior protagonismo per guidare o stabilizzare la transizione, ma ciò che impressiona è l’assolutizzazione del concetto del ritorno dello Stato a tutto raggio che oramai pervade quasi ogni posizione intellettuale.
Ma è da...