
L’aborto nella Costituzione francese farebbe a pezzi il patto sociale

I legislatori hanno il dovere di non legiferare frettolosamente, ma considerando prudentemente le conseguenze logiche delle loro decisioni. La costituzionalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) avrebbe a questo proposito due implicazioni rigorose, che certamente non percepiscono i suoi miopi promotori, ma ciascuna delle quali equivarrebbe niente meno che alla rottura del patto sociale.
In primo luogo, si mira a rafforzare, giuridicamente e simbolicamente, l’autorizzazione che la donna ha di praticare liberamente l’Ivg. Purtroppo questa decisione va molto più in là: essa equivale anche ad attribuire allo Stato il diritto di attuare una politica demografica, che comporterebbe, se necessario, l’obbligo di abortire, come è stato il caso nella Cina popolare.
Effettivamente, ciò che è oggetto di un diritto fondamentale può anche diventare, in certe circostanze, oggetto di dovere essenziale e in seguito obbligo giuridico. Costituzionalizzando un diritto, lo Stato non dà semplicemente l’ordine più imperativo che ci sia: esso convalida solennemente, in nome di tutti e malgrado il dissenso di molti, un giudizio di valore di ordine morale e molto assoluto. Lo Stato proclama e dichiara che l’aborto non causa alcuna reale torto a nessuno, non è un male, né un male minore: esso diventa un bene puro e indubitabile.
Se l’aborto diventa moralmente indiscutibile
Non discuto in questa sede questo giudizio morale. Solamente, attiro l’attenzione sul fatto che se il nostro Stato afferma questo nel modo più forte possibile la moralità senza riserve di questo tipo d’atto (la cosa varrebbe per qualunque altra cosa), non solamente i cittadini vi hanno diritto, ma nulla assolutamente impedisce che questo atto divenga per loro (in questo caso: per le donne), in alcune circostanze, un dovere che si impone categoricamente. Se dunque si riconosce un diritto fondamentale dell’individuo all’aborto, si dà davvero allo Stato automaticamente il diritto di fare abortire, nella misura in cui la necessità pubblica lo esigesse.
I miopi non vedono quale incubo stanno preparando. Perché la lotta contro la prevedibile frode da parte di chi non vorrà sottoporsi all’aborto obbligatorio, e la securizzazione del diritto dello Stato in materia, potrebbero arrivare fino a vietare la gestione in utero e a rendere obbligatoria la gestazione artificiale. E a causa della costituzionalizzazione dell’Ivg sarebbe impossibile, giuridicamente, sfuggire a tutte queste conseguenze. La costituzionalizzazione dell’aborto aprirebbe giuridicamente la strada a una biocrazia totalitaria che avrebbe ogni potere sui corpi.
A rischio niente meno che lo spirito dei Lumi
In secondo luogo, questa costituzionalizzazione aprirebbe la strada, giuridicamente, al totalitarismo sugli spiriti. Nessuna obiezione di coscienza sarebbe più ammessa in queste circostanze. Ma al di là dei problemi della professione medica, per quanto importanti, ciò che è in gioco a livello universale è niente meno che l’avvenire dello spirito dei Lumi.
Il dibattito teorico e pratico sull’aborto è centrato sulla nozione di persona. Dal punto di vista teorico, la questione è: l’embrione è una persona o no, giuridicamente, antropologicamente, metafisicamente? La questione sta tutta qui. Dal punto di vista pratico, supponendo che non si riesca a eliminare il dubbio, bisogna applicare l’adagio “nel dubbio, libertà” oppure l’adagio “nel dubbio, astenersi”? La questione è tutta qui. La depenalizzazione attuale è coerente col dubbio e sceglie di applicare il primo adagio: nel dubbio, libertà. Ora, onestamente, non è forse una questione teorica sulla quale legittimamente c’è discussione, incertezze, dubbi? Non è forse una questione pratica che non ha una risposta immediata evidente?
Se dunque si costituzionalizza l’Ivg, si mette fuori legge nella Repubblica attraverso una dogmatizzazione intempestiva la libera discussione su una questione di cui ogni persona razionale e riflessiva sa di quali oscurità è circondata. Se si ammette un tale abuso su di una questione così importante e difficile, a quale limite ci si fermerà? Una persona rispettosa della Costituzione si sentirà obbligata, prima di pensare, di chiedere il permesso alla Repubblica, che sarà così diventata dispotica.
Che ne sarà della ragione?
A motivo della difesa di questo diritto fondamentale (e presto di quali altri?), siccome una cosa tira l’altra, si estenderà all’infinito, a torto o a ragione e senza dubbio a dispetto del buon senso, la lista delle opinioni incostituzionali, fino a quando non resterà più nulla, non solamente della libertà di coscienza e di espressione, ma anche dell’audacia di ragionare e di comunicare il frutto dei propri ragionamenti. E alla fine non rimarrà più nulla della ragione come tale. Il Senato dovrà dire se, a suo avviso, l’audacia di pensare è giuridicamente inferiore o superiore alla Costituzione e se, senza l’audacia di pensare, può ancora esservi una Costituzione repubblicana.
Conclusione? Per questi due motivi, e per alcuni altri, bisogna sperare che il Senato, agendo ragionevolmente e seriamente, rigetti una proposta incolta e sconsiderata, attraverso la quale il patto sociale sarà rotto e il dispotismo si sostituirà alla Repubblica.
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Henri Hude è stato docente di Filosofia all’Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia e ha diretto per 15 anni il polo Etica e diritto del Centro ricerche delle Scuole militari di Saint-Cyr Coëtquidan, la principale accademia militare di Francia. Il suo libro più recente è Philosophie de la guerre (ne ha parlato a Tempi in questa intervista).
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