Act of Valor, dura la vita dei Navy Seals

Di Simone Fortunato
11 Aprile 2012
Una pellicola a metà tra il documentario di propaganda e l'action movie che racconta le rischiosissime missioni di alcuni giovani militari appartenenti al corpo scelto della Marina degli Stati Uniti.

Ibrido a metà tra il documentario di propaganda e l’intrattenimento di pura azione. La genesi del film è interessante e a suo modo unica. Due registi con un passato da stuntman, si prendono la briga di realizzare un documentario di reclutamento per i corpi speciali della Marina degli Stati Uniti. La cosa riesce talmente bene che decidono di farne un film. Il piglio di Act of Valor è proprio quello del documentario in soggettiva: scene dal vivo, grossi quantitativi di sangue e un uso massiccio della violenza. L’incipit in cui un terrorista provoca un’esplosione terrificante che causa la morte di alcuni bambini dice già tutto: poche parole – ma quelle poche che vengono pronunciate grondano retorica – e tanta azione che rimane di certo la parte migliore del film. La coppia di registi McCoy e Vaughn ha un’unica idea da portare avanti, quella del realismo immersivo in una guerra sporca dove i buoni rimangono solo da una parte. Così, si fa un largo uso della camera a mano e abbondano lunghe sequenze in soggettiva in situazioni che replicano spesso l’immaginario e persino la cadenza narrativa di alcuni videogame sparatutto in soggettiva come Call of Duty.

Tante ambientazioni diverse, da alcuni Paesi sudamericani alle Filippine fino 

alla Somalia come tanti sono i livelli di combattimento di un videogioco. L’operazione dal punto di vista del ritmo, frenetico e concitato, riesce: la soggettiva aggancia lo spettatore, nonostante la prevedibilità di molte situazioni, e le sequenze di combattimento, assai crude, restituiscono un grande realismo. D’altro canto, lo schematismo dei personaggi in campo (la sceneggiatura mediocre è di Kurt Johnstad, autore dello script di un altro film patriottico ma ben più riuscito, 300) e un tasso di retorica che diventa insopportabile sul finale rendono il film in alcuni momenti indigesto. La cosa più grave e controversa del film è però un’altra: ridurre a puro spettacolo e videogioco una guerra, come quella al terrore, complessa e problematica, è rischiosissimo perché veicola un messaggio falso che non è tanto il legittimo parteggiare per una parte piuttosto che per l’altra, ma il far apparire la guerra come un gioco adrenalinico in cui certamente hanno un ruolo importante gli eroi e il sangue ma anche dove, proprio come nei videogame a cui i registi si ispirano, si prova anche un po’ di piacere o almeno liberazione a sparare le pallottole e a far scoppiare le teste dei terroristi.

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