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Jamilah, Salimah, Habiba e l’Afghanistan dove non volano più gli aquiloni

Di Agnese Costa
22 Settembre 2021
Una ragazza dal Panshir e due fuggite dal paese raccontano il vero volto del regime islamista dei talebani. «Se non posso studiare o lavorare a che cosa servo?»

In questi giorni avrete sentito tutti parlare delle coraggiose proteste delle donne che a Kabul e Herat sono scese in piazza per rivendicare il proprio diritto allo studio, al lavoro, alla libertà. Diritti che i talebani sembrano ignorare: nella capitale afghana le donne sono state interdette dagli uffici pubblici, in tutto il Paese le bambine e le ragazze non potranno più andare a scuola (per ora rimane il permesso di frequentare l’università, ma in classi rigorosamente separate per sesso), vietato praticare sport, girare a capo scoperto o camminare sole per strada.

Abolito anche il ministero delle Donne trasformato in quello “della Virtù e prevenzione dei vizi”, le giornaliste che operano nel Paese sono state iscritte sulle “liste nere” e rischiano la vita. Sembra di essere tornati indietro nel tempo – dicono in tanti – a quando i combattenti islamici presero il potere nel 1996 mantenendolo fino al 2001. Un’epoca fatta di esecuzioni pubbliche, pestaggi, censure, violenze...

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