«Aiuto! Mi si sono rotte le acque». Come sopravvivere nella giungla delle adozioni

Di Elisabetta Longo
28 Maggio 2016
Un libro racconta il calvario delle coppie che vogliono adottare dei bambini. Intervista all'autrice Michela Giordano

Nuovo documento 6_1«A noi genitori in attesa di un “abbinamento” non pensa nessuno. Gli anni passano, e non c’è nessun esponente politico che prenda le nostre difese. E nel frattempo noi dobbiamo continuare a compilare istanze e passare in rassegna i tribunali, senza perdere la speranza», racconta a tempi.it Michela Giordano, giornalista e scrittrice del libro Aiuto! Mi si sono rotte le acque. Come sopravvivere nella giungla delle adozioni (Editrice Punto Famiglia, 67 pagine, 9 euro). La sua attesa ha avuto un lieto fine, chiamato Aurora. Una bambina di 20 giorni, italiana, “abbinata” a Michela e a suo marito, quando il libro era già pronto per andare in stampa. Ed è arrivato il capitolo conclusivo: «Il libro era nel cassetto, pronto da tempo. In cuor mio avevo sempre sperato che l’unico modo giusto per terminarlo fosse raccontando che il tribunale ci aveva chiamato. Un po’ per scaramanzia non l’avevo mai considerato finito, anche se la speranza era persa da tempo. Poi, il miracolo». Talmente inaspettato che Michela racconta di aver fatto tutto lo shopping per il bebè in una sola mattinata: «Una neomamma passa la gravidanza a fantasticare sulle cose da comprare per il neonato. A noi non è mai stata data la possibilità nemmeno di sperare, Aurora è arrivata in un giorno così, come tanti altri, dopo otto anni di attesa».

STORIE SIMILI. Il faticoso cammino personale di Michela e suo marito è simile a quello di tante altre donne. La giornalista ha frequentato molti forum che si occupano di adozioni, chiedendo alle utenti se qualcuna di loro se la sentiva di raccontare la propria storia. Vicende dolorose, come quella della donna che non può nemmeno sperare di adottare, perché la famiglia del marito è contraria: «Ne ho selezionate solo alcune, ma tutte mi hanno chiesto di restare anonime. La sterilità provoca vergogna. Io non l’ho mai pensato, anzi, l’ho sempre spiegato a chi mi chiedeva perché non avessimo figli. Dire la verità evita parte dei commenti sgradevoli. Anche se negli anni ce ne sono stati talmente tanti che ho perso il conto».

STEPCHILD ADOPTION. Una buona dosa autoironia ha aiutato la nostra autrice. Giorni tutti uguali, sommati in multipli di tre anni. Perché ogni tre anni le istanze presentate al tribunale scadono e bisogna ricominciare il percorso da capo. Analisi del sangue, colloqui con gli psicologi, visite degli assistenti sociali… «Noi genitori in cerca di adozione non siamo una bandiera ideologica interessante per la politica. Meglio battersi per altri tipi di adozioni. Non può venirmi rabbia quando penso alla facilità con cui un giudice può avvalorare la stepchild adoption, perché in quel caso per diventare genitore basta essere il compagno del genitore biologico. Noi coppie eterosessuali, banali, veniamo invece scandagliati in ogni più piccolo aspetto della vita. È giusto che un bambino che è cresciuto in un nucleo famigliare possa rimanere in quello, ma è altrettanto ingiusto che ci sia un differente criterio nell’adottabilità. Se non vogliono introdurre parametri di questo tipo per la stepchild adoption, allora che snelliscano gli altri. Già la conquista di un albo nazionale delle adozioni, eviterebbe di ricominciare ogni volta dall’inizio».

ANCORA UN ANNO. Mentre Michela parla si sente in sottofondo la vocetta di Aurora, che ora ha nove mesi. La gioia che la giornalista prova nel tenerla in braccio fa sembrare più lontani i momenti bui, in cui temeva che sarebbe finita nel baratro della disperazione come tante altre madri che aspettano la chiamata del tribunale: «Ero andata in visita al Santuario di Santa Maria Francesca delle cinque piaghe, una santa a cui sono molto devote le donne che cercano una gravidanza. Mentre ero in fila per rivolgere la mia preghiera alla Santa, ho visto una donna che piangeva disperata, che il marito guardava inerme. Mi sono chiesta se anche io vista dall’esterno fossi così, perché non volevo. Da quel momento il mio modo di attendere un figlio è cambiato, grazie a tanta ironia e una buona dose di preghiera». Per adesso Michela si è presa una pausa dal lavoro, vuole stare con Aurora, in questo primo anno insieme, che per il tribunale è ancora solo una pre-adozione: «A settembre prenderà il nostro cognome e per la legge italiana sarà ufficialmente figlia nostra».

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