All’autonomia differenziata, da tempo, non ci crede più nessuno

Di Lorenzo Castellani
15 Novembre 2024
L'incostituzionalità parziale sancita dalla Consulta dà una mano a tutti i partiti, che così non dovranno affrontare il referendum. È contenta l'opposizione, che non dovrà impegnarsi a raggiungere il quorum, ed è contenta la maggioranza che lascia andare alla deriva una riforma su cui non ha mai davvero investito
Manifestazione a Montecitorio contro la proposta di legge sull'autonomia differenziata. Roma, 13 giugno 2024 (foto Ansa)
Manifestazione a Montecitorio contro la proposta di legge sull'autonomia differenziata. Roma, 13 giugno 2024 (foto Ansa)

La Corte Costituzionale, con la sua dichiarazione sull’incostituzionalità parziale della legge sull’autonomia, potrebbe dare a tutti una mano.

Al governo, visto che due forze su tre della maggioranza non sono particolarmente convinte del testo approvato dal Parlamento, e anche all’opposizione, dove Pd e 5 Stelle correrebbero il rischio di fronteggiare un referendum abrogativo che dovrebbe fare il quorum e potrebbe non essere semplice mobilitare il 50 per cento degli aventi diritto.

Un ennesimo fallimento all’eventuale referendum sarebbe l’ennesima sconfitta alle urne dell’opposizione, un’altra tegola sul consenso della sinistra.

Non è a costo zero

La verità, però, è che nella riforma dell’autonomia sembra non crederci più di tanto nessuno, a partire dalla maggioranza.

Da Fratelli d’Italia e Forza Italia sono più volte arrivati richiami all’equità e messaggi volti ad evitare che la riforma venga percepita come una sperequazione a danno delle regioni più deboli nell’economia e nei servizi pubblici. Già l’inserimento dei Lep segnala una volontà abbastanza precisa del governo di circostanziare l’idea di federalismo. L’idea di livelli minimi essenziali di prestazione sono il sintomo di un sistema che in cambio dell’autonomia su alcune materie per alcune regioni determina maggiori risorse per altre al fine di cercare di allineare tutti agli stessi livelli.

La riforma non è dunque a costo zero, ma aggrava potenzialmente il bilancio statale che riceverebbe meno dalle regioni del nord e dovrebbe dare di più a quelle del sud.

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Il presidente del Veneto Luca Zaia, il presidente del Piemonte Alberto Cirio e il ministro degli Affari Regionali Roberto Calderoli, durante la riunione con le Regioni che hanno richiesto di avviare il percorso di autonomia, Roma, 3 ottobre 2024 (foto Ansa) ANSA/GIUSEPPE LAMI
I presidenti di Veneto, Luca Zaia, e Piemonte, Alberto Cirio, con il ministro degli Affari regionali Roberto Calderoli, Roma, 3 ottobre 2024 (foto Ansa)

Tutti i partiti sono centralisti

Ma anche la stessa Lega non sembra crederci né investirci più di tanto in questa riforma. La si manda avanti perché era nel programma e perché serve da contrappeso istituzionale alla riforma del premierato proposta da Fratelli d’Italia, ma da tempo la Lega è un partito di destra nazionalista e non più il partito del nord e del federalismo.

Che Calderoli ricorra all’escamotage di anticipare la riforma soltanto sulle poche materie escluse dai Lep è già un indizio che per attuare la riforma nella sua integrità non ci sono le risorse.

Ecco allora che la bocciatura della Corte potrebbe fare un favore anche al governo. Ripensare la riforma e migliorarla oppure direttamente concludere con un nulla di fatto o quasi. È un compromesso già al ribasso e la Corte potrebbe mettere ulteriori paletti a detrimento della devoluzione di competenze. Ma d’altronde in questa fase tutti i partiti sono centralisti, dunque cosa ci si poteva aspettare di diverso?

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