
Amarcord
Fellini vive (e lotta insieme a noi). Cartoline da “Amarcord”, e giù cementate di animi allegri, improbabili, eccessivi sì, eppure mai così eccedenti in scandalo o amarezza da rendersi insopportabili. Ma erano gli anni Trenta, quelli dei nonni, delle guerre, quelli che “una volta era così” e menomale che non c’eravamo. Ma ci siamo adesso, e Fellini vive (e lotta insieme a noi), e si diverte a tirarci scemi – e deve aver tirato scemo anche qualcuno di lassù per poter orchestrare un tal momento storico e renderlo insopportabile. Eh già, perché le suggestioni da “Amarcord” sono troppe e, disgraziatamente, televisivamente alla portata di tutti: nani, attrici e indecisi sessuali alla corsa europea, scaracchio nazionale su prime pagine internazionali fomenta conflitto italobaltico (aggravante, un certo documentario norvegese su un certo premier nostrano censurato in Italia). Biscardi annuncia torvo la malefatta, ma ci mette un quarto d’ora e un paio di moviole per capire di cosa sta parlando. Calzini e scarpini si organizzano poi in sindacati, uccellini Uliveto come uccellini di Assisi a chiacchierare con Del Piero (idillio da Principe Felice, salvo poi l’appello di san Francesco ai diritti d’autore e relative punizioni nordiche); Vieri dicendosi “uomo” degno di guardarsi allo specchio sfonda il guinness dei cerebrolesi, spodesta Paolini e affianca il Tg5, che al “disturbo mediatico” dedica un intero servizio. Insomma, dopo le palle pre-elettorali i media si dedicano alle palle nazionali e ci graziano con i commenti di esperti del settore, la Badescu paladina degli eccessi di salivazione e Fellini vive: «“Amarcord” è un film imbarazzante, tende a suggerire il pericolo di un riproporsi in un modo meno ingenuo e meno goffo, ma più pericoloso, dello stesso tipo di società» (ipse dixit).
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