«Alessandro aveva organizzato una serie di incontri su san Francesco e pensava che noi avremmo potuto tenere l’ultimo, quello di chiusura», racconta Giorgio Natale, voce e chitarra degli ShamRock. «Cosa c’entra san Francesco con la musica irlandese? In effetti nulla, ma il santo d’Assisi amava talmente la musica da avere scritto il Cantico delle Creature. Sapeva che la musica è in grado di raccontare molto di più di tante parole. Allo stesso modo la musica irlandese, per Alessandro, poteva essere uno strumento efficace per tenere compagnia al cuore dei detenuti».
LA FIDUCIA DEL PUBBLICO. Già nell‘estate del 2012 gli ShamRock si erano esibiti in un carcere, ma era quello di San Vittore. Era un pomeriggio parecchio caldo, nello spiazzo aperto della struttura e i detenuti erano pochi. A Bollate invece la band si è potuta esibire su un palco vero e gli spettatori sono un centinaio, seduti nelle loro poltroncine. «Non è come suonare in un pub, dove la gente beve e ci ascolta già predisposta a divertirsi e a ballare. Lì era evidente che la fiducia del pubblico ce la dovevamo conquistare. Sono serviti parecchi pezzi prima di farli sciogliere», racconta Stefano Rizza, al banjo. «Il modo in cui ci hanno stretto le mani alla fine della nostra esibizione ci ha mostrato che li avevamo convinti. Qualcuno probabilmente sarà tornato in cella canticchiando, raccontando il concerto ai compagni che non avevano potuto presenziare».
AMAZING GRACE. La scaletta è quella di sempre, composta da brani famosi del repertorio folk, ma è il contesto a renderli diversi, spiega Stefano: «Amazing Grace è stato un momento molto coinvolgente. Abbiamo fatto una piccola introduzione, raccontando chi era John Newton, l’autore, uno spietato capitano di navi negriere. Che si era convertito, e aveva scritto Amazing Grace durante una tempesta terribile. Nella platea molti hanno annuito, facendoci capire di avere già sentito quella storia e quelle parole. Molti dei detenuti di fronte a noi era infatti di origine sudamericana, dove il canto è molto popolare». Giorgio ricorda bene che cantavano anche alcune donne, di origine africana: «Cantavano a occhi chiusi, come si fa in un gospel. Sembravano per un attimo trovarsi da un’altra parte, con un’altra vita».
Ai concerti di musica irlandese, principalmente, si balla. Sembrava difficilissimo non riuscire a farlo anche nel carcere di Bollate, e così Giorgio ha chiesto il permesso alle guardie di far salire sul palco qualcuno del pubblico, sia uomini che donne. «In carcere non si possono incontrare detenuti uomini e donne, per cui all’inizio le guardie hanno dato l’ok, ma solo per quanto riguardava il pubblico maschile. E i detenuti, che erano entusiasti di poter finalmente alzarsi dalla sedie, lì per lì hanno detto di no, che si vergognavano a ballare solo tra uomini, erano intimoriti. Poi hanno fatto salire anche un paio di ragazze, e tutto è diventato più spontaneo. È la forza della musica, che unisce in qualsiasi latitudine o situazione ci si trovi».