Amazon comincia a pubblicare in proprio: «Il digitale è la nuova strada per il sogno americano»

Di Daniele Ciacci
01 Febbraio 2012
Amazon ha deciso di trasformarsi. Non sarà solo una società distributrice, ma anche una casa editrice, con autori, editor e uomini di marketing. Paola Peretti, docente di Digital Pr presso lo Ied: «Mi spaventa di più la pigrizia degli editori. Amazon non ha una tecnologia inaccessibile: chiunque può aprire uno shop seguendo logiche digital».

Laurence Kirshbaum, ex amministratore delegato della sezione libri di Time Warner, adesso dirige le pubblicazioni di Amazon. Sì, perché il più grosso ente di distribuzione di prodotti online fa un passo in più, e decide di pubblicare testi in proprio. Come dice su Businessweek Jeff Belle, vicepresidente di Amazon: «Stiamo costruendo un laboratorio dove autori, direttori e uomini di marketing possano vagliare nuove idee». Ingredienti per il successo? Tante idee e tanti soldi. Dopo aver esordito nel 2007 con il Kindle, lettore digitale capace di cambiare l’intero panorama della letteratura, Jeff Bezos, presidente di Amazon, ora è ai ferri corti con le BigSix americane, le sei case editrici più importanti degli States. La nuova piattaforma non si limita solo a esportare, con un altro formato, i loro libri. Ora fa da sé, complice anche la bancarotta della Borders, la più importante catena di librerie americane. Le BigSix hanno bisogno di Amazon per vendere, ma Amazon ha bisogno di loro? Kirshbaum ha iniziato a scritturare autori per centinaia di migliaia di dollari, e il pericolo del monopolio è alle porte. Tempi.it ne discute con Paola Peretti, docente di Digital Pr presso lo Ied di Milano.

È stupita dalla nuova iniziativa di Amazon?
No. Il 17 ottobre avevo letto sul New York Times un’intervista a Richard Curtis, un agente con mansioni editoriali e grafiche, che aveva già annunciato la pubblicazione di 122 titoli. È sempre stato l’obiettivo di Amazon di espandere il mercato e, dopo dieci anni, forse è arrivato il momento giusto. Gli editori tradizionali, ora come ora, non possono prescindere da Amazon per vendere. Non vedo, in questo caso, la differenza con i grandi distributori che lanciano i loro marchi, come Esselunga. È un modello di retail che non è nuovo.

Le fa paura l’imposizione forte di Jeff Bezos in campo editoriale?
No. Mi spaventa di più la pigrizia degli editori. Le case editrici tradizionali non capiscono che, per vendere, è necessaria una interazione maggiore tra autore e fan. In questo senso, un digital plan è utile ad azzerare le distanze. Amazon è l’unico che può resistere a questa nuova “ondata democratica”, dove i lettori valutano i libri. Gli editori sono indietro in questo gap di almeno una decina d’anni: devono rivedere le proprie regole di comunicazione.

La possibilità di assistere a un “monopolio virtuale” è credibile?
Non credo. Sarebbe più facile che Google iniziasse ad operare come un monopolio. Google gestisce un algoritmo di ricerca che nessuno possiede. Il monopolio è, appunto, la “segregazione” di un know-how che non deve uscire dalle strette mura dell’azienda. Ma Amazon non ha una tecnologia inaccessibile: chiunque può aprire uno shop seguendo logiche digital. Tuttavia, la vecchia editoria rimane incancrenita su vecchi sistemi di vendita. Per questo non c’è una vera concorrenza. Amazon, invece, è ben attrezzato. Ad esempio, è stato il primo a costruire una home page personalizzata al cliente.

Anche perché sono le preferenze dei clienti a creare il mercato…
Esatto. Non sono nuove le storie di autori che, rifiutati dal mercato editoriale, pubblicano online le proprie opere e in poco tempo diventano grandi successi. È l’eco dei lettori a funzionare, insieme all’ausilio di app che permettono di auto-editare i propri scritti. Oggi il digital è la nuova strada per il “sogno americano”. E c’è un ritorno in qualità.

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