Amica di Teheran, paravento di Hezbollah. E’ l’Italia che piace a D’Alema

Pane al pane e a ciascuno il suo. Se la passeggiata di Massimo D’Alema con l’esponente Hezbollah non è stata un bel vedere, e ancor meno il sorriso di Pier Ferdinando Casini a Mahmoud Ahmadinejad, sarebbe iniquo non parlare dell’incontro di Romano Prodi con il presidente iraniano. Il contorno è stato una raffica di dichiarazioni degne del terzomondismo cattocomunista di un tempo, tra cui: «Mi rifiuto di credere che vi sia una guerra di civiltà». Non ha detto: «Non credo che vi sia», bensì «Mi rifiuto». Un esempio preclaro di razionalità. Tutto questo all’indomani dell’aggressione a Benedetto XVI.
Dell’incontro si sa soltanto quel che hanno detto i protagonisti. Secondo Prodi sono state esposte le posizioni reciproche senza risultati concreti. Secondo Ahmadinejad l’incontro è andato bene e l’Italia è un paese amico. Giudicate voi cosa vuol dire questo. Quanto meno Ahmadinejad non deve aver udito cose spiacevoli. Per esempio, un discorso del tipo: «Signor presidente, sono l’unico capo di governo occidentale che accetta di parlare con lei. Se lo faccio è per dirle chiaramente quali sono le condizioni minime di un dialogo: la smetta di ingiuriare gli Stati Uniti e il Papa e di dire che vuol distruggere Israele; la smetta di dire che lo sterminio degli ebrei in Europa non è mai avvenuto; la smetta di promettere che l’islam dominerà il mondo altrimenti la comunità internazionale non potrà non considerare i vostri programmi nucleari come una minaccia per la pace mondiale». Mentre simili discorsi non venivano fatti e, al contrario, veniva ammannita la predica sul ruolo di potenza regionale “equilibratrice” dell’Iran, Ahmadinejad riproponeva le sue infamie nei circoli newyorkesi in cui è riuscito a farsi invitare, suscitando lo scoramento anche nei più accaniti appeaser multilateralisti della politica americana.
Sappiamo che la politica non è l’attuazione di princìpi morali. Ma non dovrebbe essere neppure il contrario. Invece il nostro governo ci sta abituando a un pragmatismo senza limiti, in cui la più vaga proposizione di carattere morale sembra un cedimento alla puerilità. Non abbiamo mai sentito una condanna esplicita e netta delle infamie del presidente iraniano su Israele e la Shoah. L’idea di avere simili rappresentanti provoca un sentimento di profondo malessere.
Frattanto, mentre il ministro D’Alema proclamava l’inizio di una “fase nuova” in Medio Oriente, si teneva a Beirut una grande manifestazione di Hezbollah per celebrare la “vittoria divina” su Israele. Lo sceicco Nasrallah si è vantato di non voler restituire i soldati israeliani rapiti, ha proclamato che l’arsenale missilistico di Hezbollah è cresciuto dopo la guerra e che la forza Unifil è benvenuta «purché non spii la resistenza, non tenti di disarmarla o interferisca negli affari interni libanesi». Insomma, faccia turismo, senza curiosare. Unifil viene così ridotta a un paravento dietro il quale Hezbollah può fare quel che vuole senza che Israele possa alzare un dito. Questa sarebbe la “fase nuova”? Il malessere cresce di fronte allo spettacolo di rispettabili soldati inviati a svolgere il compito ingrato di fare da paravento al terrorismo criminale. Ci si risparmi almeno la strombazzata sui grandi successi della politica estera italiana. Un tonfo di queste proporzioni supera le peggiori previsioni.

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