
Amicone, strano ciellino anarchico

Pubblichiamo, per gentile concessione, l’articolo che Martino Cervo ha scritto in ricordo di Luigi Amicone martedì 20 ottobre su La Verità
Luigi Amicone se n’è andato al modo inatteso e trafelato con cui arrivava dovunque la vita e la sua libertà lo portassero: a 65 anni da poco compiuti, dopo un arresto cardiaco e una corsa al San Gerardo di Monza. Era un grandissimo anticlericale. Non nel senso di ostilità alla Chiesa: lui, ciellino figlio di don Giussani, anarco-resurrezionalista innamorato di Gesù. Ma nel significato che, alla parola «clericale», assegnava Charles Péguy. Lo scrittore inveiva contro «due bande di preti: i preti laici e i preti ecclesiastici, i preti clericali anticlericali e i preti clericali clericali. I preti laici che negano l’eterno del temporale, che vogliono disfare, smontare l’eterno del temporale, quello che sta dentro il temporale; e i preti ecclesiastici che negano il temporale dell’eterno, che vogliono disfare, smontare il temporale dell’eterno, quello che sta dentro l’eterno, e gli uni e gli altri non sono affatto cristiani». Amicone, cristiano fumantino strappato all’estremismo di sinistra, fu afferrato dal temporale nell’eterno (la pretesa di un fatto accaduto a Nazareth) e dall’eterno del temporale, cioè dal mistero che alberga in ciascuno. Odiava con amore le bande di preti, con o senza talare, che s’industriano a negare l’uno e l’altro.
Vivace inviato di scuola ciellina (Il Sabato), fondatore di un giornale che oggi continua grazie ai suoi allievi (che pubblicano il mensile Tempi e il sito Tempi.it), scrittore, e poi consigliere a Milano con Forza Italia, Amicone ha colto prima di altri i segni di un annichilimento culturale che stava corrodendo uomini, pensieri e società. Nel 1982 scrisse, con l’introduzione di un certo Giovanni Testori, Nel nome del niente (Rizzoli), poi Sulle tracce di Cristo (Bur, 1994), «cronaca» di un pellegrinaggio in Terrasanta con don Giussani.
Nella lettera di cordoglio alla moglie Annalena e ai loro sei figli, il presidente della Fraternità di Cl, don Julián Carrón, ha ricordato una risposta data dal giovane Amicone alla domanda di Giussani su cosa fosse il cristianesimo: «Io penso sia l’avvenimento del Dio che si è fatto un uomo, e questo uomo si è detto Dio e ha scelto…». «Basta, basta», interruppe il prete: «Ci siamo! Perché è solo quello». È strano, ma è in fondo «solo» per quello che Amicone ha traversato giornalismo e politica, combattuto battaglie rivedibili e non, carezzato la disastrosa avventura della Lista anti aborto di Giuliano Ferrara, abitato con un piglio libero, inconfondibile, scapigliato e appunto non «clericale» un terreno micidiale, giornalistico e politico, dove sapeva di giocare sempre e comunque in minoranza. Litigava più o meno con tutti, dentro Cl e fuori, dentro i partiti e le coalizioni, in tv, ma evitando pagliacciate mediatiche e sempre, in fondo, per una burbera stima dell’altro. A un certo punto – era il novembre di dieci anni fa – l’allora sede di Tempi ospitò Marco Pannella e Luigi Amicone in una conferenza stampa allestita per chiedere l’amnistia per svuotare le carceri. Avrebbero potuto, i due, venire quasi alle mani su dozzine di altri argomenti, ma si fiutarono addosso una strana umanità che non valeva la pena dissipare.
Ieri in tanti, in modo meno formale del solito, hanno avvertito il contraccolpo di una perdita ingiusta. Beppe Sala e Gad Lerner hanno speso parole non scontate. Amicone, incapace di rinunciare anche a una sola polemica, manca agli avversari forse perché s’imbattevano non in un grumo di interessi e idee ma in una persona. I funerali, domani, nel Duomo di Monza (ore 10.45), saranno in fondo l’ennesima alternativa piantata nel suo ultimo romanzo da Daniele Mencarelli: «Siamo figli del Tutto, o figli del Niente». Sulla prima opzione Amicone ha scommesso e corso, con il suo modo rapido e sgarrupato cui era difficile non voler bene.
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