Anche Londra cerca Gesù Cristo. Lettera dalla National Gallery

Di Luigi Amicone
26 Aprile 2000
Lettere

Egregio direttore, il suo corrispondente da Madrid si è preso una breve vacanza, è volato a Londra e si è fatto una passeggiata alla National Gallery, che per onorare il duemillesimo anniversario della nascita di Gesù, ha allestito una mostra (circa 80 pezzi, tra quadri, medaglie e sculture) che ripercorre le rappresentazioni artistiche di Cristo nella storia. Mi permetta di raccontarle questo percorso espositivo intitolato “Seeing Salvation. The Image of Christ” e accluderle in calce qualche riflessione in proposito.

La prima delle sette sale in cui è suddivisa la mostra è dedicata al teama del “Segno e Simbolo”, e descrive come, a partire dalle catacombe, i primi cristiani rappresentarono l’immagine di Cristo attraverso segni quali il pesce, la croce, il buon pastore o il monogramma di Cristo: le prime due lettere del suo nome in greco. Vi troviamo, ad esempio, “L’Agnus Dei”, di Zurbaràn.

La sala seguente è dedicata a “La doppia Natura” di Cristo, dove ci imbattiamo nella magistrale “Le Trinità” del Murillo. La terza illustra la ricerca dell’aspetto fisico del Salvatore e si incontrano rappresentazioni del “Velo della Veronica”, “La processione al Calvario”, il Ghirlandaio o Zurbaran, ma nonostante le ultime ricerche avvalorino l’autenticità Sacra Sindone, al prezioso reperto ci sono cenni solo di sfuggita..

Nella quarta sala sono esposte opere sulla Passione di Cristo. Colpiscono due particolari: un dettaglio di un opera di avorio nella quale, tra il canto del gallo ed il pianto di Pietro, emerge Cristo portando la sua Croce mentre si avvia a incontrare Pietro per dargli una mano; e “La Ascesa” di Ugolino di Nerio, nella quale gli amici abbracciano Gesù per l’ultima volta, attendendo la sua presenza tutti i giorni fino alla fine del mondo, come si legge a caratteri enormi nella sala finale. La sala seguente è dedicata a immagini della Passione che aiutano il fedele a pregare e ricordare il sacrificio del Salvatore per ciascuno di noi. La sesta sala, intitolata “Il corpo salvatore” tratta della necessità dell’artista, nel rappresentare il Resuscitato, di tenere conto della sua apparenza fisica, così come della natura del suo corpo.

L’ultima sala, “La Presenza permanente” contiene immagini di Cristo del nostro secolo e inizia affermando, in modo assai discutibile, che queste siano più familiari per i visitatori inglesi. In particolare vi si trova “El Cristo de San Juan de la Cruz” di Salvador Dalì (immagine promozionale della mostra).

Un bilancio della visita? Se all’inizio del percorso si coglie ancora qualche segno della umanità di Cristo, proseguendo emerge una concezione di cristianesimo vieppiù opprimente e astratta, tutta ripiegata sulla sofferenza, la compassione, il dolore, la flagellazione. Nell’ultima sala non solo non vediamo un Cristo divino, ma a mala pena lo percepiamo come umano, mentre trionfa il Cristo di Dalì, che, esigenze estetiche a parte, mi pare sia la visione del cristianesimo che gli organizzatori propongono, ovvero un Cristo la cui croce non è inchiodata nella terra ferma, ma sospesa nello scuro abisso, senza rapporto con niente. La salvezza così, in quanto esperienza umana, svanisce in una alternativa sentimentale, in una compassione adatta a spiriti particolarmente sensibili o mistici. Alla fine, Cristo sembra ridotto ad una ispirazione artistica, a una sorta di dea Venere, a una mera espressione di valori morali e universali, utile per ribadire il tema della sofferenza dell’uomo moderno. Del resto, è curioso che altre opere presenti in questa pinacoteca, quali “La Cena di Emmaus” del Caravaggio, “La Adorazione dei Magi” o ” La Adultera” di Rembrant, che mostrano con immediatezza cosa sia il “Seeing Salvation”, siano state escluse.

Benjamin Rodriguez Manzanares, Madrid Sembra un percorso altamente simbolico della modernità che precipita dalla normalità della vita conquistata dal totalmente altro dentro circostanze storiche e, di per se stesse, banali (vi ricordate quei tali che “quel giorno si fermarono presso di lui, erano circa le 4 del pomeriggio”?) alla favola di un dio che se c’è non c’entra. Ecco comunque il Cristo di Dalì. È il nostro tempo.

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