Antimafia, legalità, trasparenza. Et circenses

Cronaca con lo scolapasta in testa di una Commissione comunale antimafia. Dove si scopre che all'Expo solo sei paesi hanno firmato i nostri bei documenti di legalità

Mi tocca sempre fare lo stravagante con lo scolapasta in testa. Commissione comunale antimafia. (Tra l’altro: hanno un costo per la collettività questi doppioni, anzi decuploni, centuploni, di organismi “antimafia” distribuiti nei consigli comunali, regionali, pastorali, scuole visitate dalle conferenze di magistrature democratiche, associazioni don Ciotti, istituzioni Anac Cantone del Belpaese? Ma certo, alla collettività costano un gettone d’oro quanti sono i consiglieri comunali di commissione antimafiosa di Milano e di quante sono in Italia le commissioni di scuole, associazioni, istituzioni democratiche di città, paesi, borghi che si riuniscono periodicamente per lottare all’arma verbale bianca “contro tutte le mafie, per la trasparenza e la legalità”). Chiuso l’inciso. E scusate lo scolapasta.

Venendo alla sostanza, la notizia è questa. Martedì 26 settembre, nella sala commissioni di Palazzo Marino, Milano, ore 17-19, noi illustri consiglieri comunali milanesi, abbiamo ricevuto in audizione in commissione antimafia (trasparenza e legalità) i vertici di Expo. I quali ci hanno esposto i notevoli risultati (antimafiosi, trasparenti e legalitari) conseguiti grazie all’applicazione del “Protocollo di legalità” (copyright Anac-Cantone) alla recente Esposizione universale. Vi risparmio la descrizione degli articoli e i commi “più interessanti” di tale protocollo, i contributi dei sindacati e dell’Assoimprenditori. Mi limito qui a notiziare che, dato che nessuno dei miei colleghi consiglieri – a ragione – ha avuto alcunché da ridire sul migliore dei mondi possibili scritto sul protocollo Anac-Expo, il sottoscritto consigliere di Forza Italia ha domandate: scusate, visto che siete stati così avanti con questo protocollo anticorruzione, com’è che a un certo punto Expo ha corso il serio rischio di naufragare sotto le inchieste della magistratura anticorruzione?

Seconda questione. Visto che abbiamo creato questi doppioni delle Procure, tipo questa Anac del dottor Cantone. E considerato che a parità di crisi per tutti i paesi del mondo (la famosa crisi che “ci siamo finalmente lasciati alle spalle”, come racconta la propaganda Gentiloni e le Agenzie Stefani dei giornaloni governativi), ma parliamo dei paesi europei: ecco, com’è che a parità di crisi europea noi che siamo la seconda potenza industriale d’Europa in 10 anni abbiamo perso 10-12 punti di Pil e gli altri invece hanno perso mediamente uno zero virgola? Perché questa straordinaria forchetta se siamo i panzerindustriali numeri 2 d’Europa? Silenzio. E allora vi propongo quest’altra. Com’è che oggi noi, seconda potenza industriale d’Europa, siamo pressappoco alla pari con la Grecia, che non ha un’industria, a fare la barbona coppia di fanalini di coda d’Europa? Com’è che la nostra ripresa non è mai incinta e, anzi, è frigida, sterile, piagnucolosa?

Visto che nessuno risponde dei gentili presidenti di commissioni antimafia e dei manager dei protocolli di legalità (antimafia e per la trasparenza), parto in quarta con i miei modestissimi dubia: scusate, non vi viene per caso il sospetto che noi siamo diventati così bravi, ma così bravi, in questa fabbrica di carte del mondo onesto e pulito, che stiamo diventando l’Unione Sovietica di pace all’anima sua e trapassata memoria, che aveva più o meno lo stesso ambaradan di burocrati e leggi anticorruzione quando ha preso il suo bel corso verso il camposanto? Scusate, non sarà che anche qui in Italia finisce come finì la morgue postsovietica, costruita sulle marmoree architetture della Pravda lottatrice anticorruzione (e dei procuratori anticorruzione al Cremlino), invece che riedificata su un uragano di riforme liberali e su masse popolari messe finalmente al lavoro, invece che a controllare i controlli dei controllori?

Può essere, per caso, aggiungo – dico, può essere, putacaso – che continuiamo ad andare giù, giù, giù, sempre più giù, fino a intravvedere la bancarotta per debito pubblico, perché invece di concentrarci sul lavoro, la produzione, la formazione, l’educazione, noi continuiamo a concentrarci sulla fabbrica delle leggi di carta anti qualcosa e su istituzioni che puzzano di burocrazia postsovietica?

Infine, tanto per avere la prova del nove di questo luogo postsovietico in cui abitiamo, ma che ci viene descritto come il miglior mondo possibile (vedi che anche in Europa ci applaudono? E ci credo, un bel competitor industriale si sta suicidando). Infine, dicevo, per fare la prova del nove e capire già adesso come diventeremo quando arriverà il Dop Cinque Stelle di tutte queste notevoli procedure di trasparenza, legalità e anticorruzione, ho chiesto ai nostri implementatori di protocollo legalità in Expo: scusate, ma tanto per sapere, quanti e quali paesi che hanno partecipato a Expo hanno firmato questo nostro fantastico protocollo? Al che, nessuno ricordava niente in proposito. Voglio dire, scusate, ma va da sé che Expo Universale significa che il core business della manifestazione e dunque anche il test dei nostri fantastici protocolli, sono gli stranieri. E voi non ricordate nemmeno quanti e quali paesi hanno aderito a uno strumento che dicono sia «indispensabile allo sviluppo di una moderna, corretta, trasparente impresa globale»?

Imbarazzo generale. Ma per fortuna c’è internet. E subito spunta l’informazione. Solo sei paesi su sessanta hanno aderito al protocollo di legalità richiesto da Expo. Sei su sessanta? E gli altri? Perché non li avete denunciati all’Anac di Cantone? Perché non avete loro ritirato il permesso di esposizione? Perché non li avete cacciati con indignazione? Perché non avete trovato un abbonato al Fatto Quotidiano che istruisse un’inchiesta e una retata anticorruzione per 54 espositori di 54 nazioni? Ah, già. Perché altrimenti facevamo l’Expo de noantri.

Su sessanta, sei. Capite? E tra i sei erano compresi il Principato di Monaco e la Moldavia. Ma non gli Stati Uniti d’America, né la Gran Bretagna, né, tantomeno, la Germania. Avete capito cari lettori? Non riusciamo a esportare le nostre istituzioni di legalità e antimafia. Però con gli altri abbozziamo. E facciamo passare loro anche il cammello dalla cruna di un ago.

Invece, se una nostra impresa non produce un protocollo legalitario la buttiamo fuori da tutti gli appalti del mondo.
Invece, quando a tutte le imprese del mondo che ci fanno carta per bidè delle nostre procedure legalitarie, trasparenti e antimafiose, non gli mandiamo neanche un vigile urbano, alle nostre aziende facciamo passare i sorci verdi e la Guardia di Finanza alla porta, se poco poco impiegano un calabrese che viene da Platì. Infine, ciliegina sulla tomba Italia, gli altri fanno una guerra in Libia perché Gheddafi non ha comprato una partita d’armi alla Francia. Però la Francia è uno dei sei paesi che ha firmato il protocollo di legalità-tà-tà.

Insomma, mentre noi continuiamo a stupire il mondo con la nostra pulizia che lava più bianco che c’è, noi che abbiamo il detersivo di Procure che al mondo non ha nessuno (perché nel mondo, almeno quello libero e industrializzato, hanno ancora uno Stato di Diritto), gli altri ci fanno gli applausi. Per le nostre procedure legalitarie e la nostra accoglienza dei migranti economici. E si capisce. Benedizioni europee per il nostro sereno scivolare verso Grecia. Ma col Crozza che ci fa ridere su tutto tranne sulle cose che stiamo esponendo qua. Antimafia, legalità, trasparenza. Et circenses.

Perciò, concludevo tra me e me in quell’augusta sala di commissione antimafia, audita l’augusta lezione di protocollo di legalità-trasparenza-antimafia: chissà cosa esporrà l’Italia al prossimo Expo. Magari “Italians ghiaccioli”. “Made in Groenlandia”. Però col marchio “Severgnini-Corriere della Sera”. Di legalità, trasparenza e antimafia.

@LuigiAmicone

Foto Ansa

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