Antonio Simone. Accettata la ricusazione del giudice

La Corte di Appello di Milano ha riconosciuto l’incompatibilità del giudice Cristina Mannocci. Un fatto che, a Milano, non accadeva da anni. Intervista all'avvocato Giuseppe Lucibello

«In un processo penale nessuno, specialmente il giudice, deve essere esposto a possibili  “pregiudizi”». Giuseppe Lucibello, legale di Antonio Simone, commenta così la ricusazione da parte della Corte di Appello di Milano, del giudice Cristina Mannocci, nel processo Maugeri. Settimana scorsa, il tribunale ha riconosciuto l’incompatibilità del giudice Mannocci, che aveva già espresso una sentenza di condanna nel processo parallelo del San Raffaele. Non accadeva da anni, a Milano, che fosse accolta la ricusazione di un giudice: «Bisogna evitare che ci si faccia una convinzione errata della giustizia: la ricusazione, in questo caso, è utile ai giudici come alla difesa. È sotto processo il sistema sanità di Regione Lombardia: la differenza fra aziende ospedaliere non cambia la sostanza delle accuse, che si giudichi sul caso Maugeri o su quello del San Raffele».

Avvocato Lucibello, cosa cambia con la ricusazione?
Colpevole o innocente vuol dire poco quando si parla di diritti della difesa. In un’udienza preliminare noi potremmo voler chiedere riti alternativi, come quello abbreviato. Se avessimo davanti un giudice che già ha espresso le sue convinzioni ciò ci sarebbe precluso.

A proposito dei problemi per la difesa, cosa implica l’uso mediatico del materiale di inchiesta?
Sui giornali siamo abituati a leggere il processo esclusivamente nella sua impostazione accusatoria, che si forma all’inizio dell’inchiesta, a volte durante le indagini. Gli avvocati, non avendo le carte per rispondere, non possono rispondere. Anche per una frasetta estrapolata dalle intercettazioni, dovremo aspettare il deposito delle bobine, la perizia. Tenendo conto che il processo mediatico ha una vita limititatissima, quando siamo pronti per replicare alle accuse è ormai troppo tardi. Andrebbe messo un blocco delle informazioni almeno di un mese o due mesi a partire dalle fasi iniziali del procedimento, con lo scopo di permettere a noi avvocati, carte in mano, di controbattere.

Cosa vuol dire per l’accusato, presunto innocente, dover affrontare un processo sui media, prima ancora che in tribunale?
Il primo effetto deleterio è la mancanza di par condicio fra difesa e accusa. Il secondo è che quando un accusato viene assolto, pochi ne vengono a conoscenza. Quando il processo in tribunale fa il suo corso l’opinione pubblica si disinteressa, nella maggior parte dei casi. Mentre nelle prime fasi dell’inchiesta, vengono mandate in onda trasmissioni dove ci sono addirittura attori che recitano sulla base dei verbali. Ciò contribuisce a formare un giudizio nell’opinione pubblica. E che anche la giuria si faccia un’opinione sulla base di quanto viene rappresentato dai media è un rischio da non sottovalutare. Per ultimo c’è un problema con gli archivi dei giornali.

Quale?
Non vengono annotate le sentenze d’assoluzione e non vengono cancellati gli articoli accusatori, compresi quelli infamanti. Anche se il processo ha stabilito l’innocenza dell’accusato, quei sospetti restano sempre negli archivi e con le nuove tecnologie saranno sempre nella disponibilità di chiunque.

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