La A&I Onlus, nata nel 1998, porta avanti il progetto “Libera scuola di cucina” dal 2012, e già l’anno scorso ha realizzato eventi aperti al pubblico di San Vittore, come spiega a tempi.it la responsabile dell’attività, Marina De Berti: «Noi non forniamo catering o servizi legati al cibo, ma siamo un’unità formativa permanente all’interno del carcere, sia con la “Libera scuola di cucina”, riservata alle detenute donne, sia con il corso formativo per barman e assistenti di sala, riservato ai detenuti uomini. Il nostro obiettivo è rendere utile quel tempo di attesa che i carcerati di entrambi i sessi devono scontare a San Vittore, che molto spesso è solo un luogo di passaggio. Anche un periodo di transizione può diventare un’esperienza formativa. Abbiamo scelto il tema della ristorazione perché non servono tempi troppo lunghi per acquisire delle conoscenze».
Un aiuto importante nello svolgimento delle attività è dato dalle poliziotte penintenziarie: «È profondamente errato chiamarle “guardie”, visto che fanno ben più di aprire o chiudere un cancello a chiave. Sono esse stesse parte attiva della “Libera scuola di cucina”. Basta vedere con quanto impegno curano l’organizzazione degli eventi. Se non fosse per la divisa, non si distinguerebbe una detenuta da una poliziotta, mentre spostano tavoli e sedie per i preparativi».
OSTACOLI BUROCRATICI. Spesso le detenute sostano a San Vittore per poco tempo, perciò A&I ha studiato una rotazione e un attestato da conseguire in poche lezioni. Bastano cinque ore di frequenza per dimostrare di avere appreso delle conoscenze, utili per il “dopo”. Dal 2012 a oggi “Libera scuola di cucina” ha formato 40 detenute. Sono loro stesse a riconoscersi una nuova identità, fin dalla prima ora di lezione frequentata. Perché indossare il grembiule le rende donne nuove, pronte a rimettersi in gioco: «Quando penso alle ragazze che ho conosciuto, me ne viene sempre in mente una in particolare. Desiderosa di imparare, ligia ai suoi compiti, questa detenuta ha ottenuto in breve tempo l’attestato. Grazie al nostro impegno, un ristoratore del centro di Milano le aveva assicurato un lavoro part time come cameriera e, grazie alla rete di social housing, eravamo riusciti a trovarle una sistemazione. Tutto sembrava volgere verso un futuro migliore, ma il giorno in cui ha varcato il cancello di San Vittore è arrivata la Polizia a prenderla, per trasferirla al Centro di accoglienza a Tor Vergata, a Roma, per una questione di problematiche legate al suo Paese d’origine. Il futuro dell’ex detenuta è svanito in un attimo, e questo perché non c’è ancora sufficiente dialogo tra le istituzioni italiane. Invece dovremmo lavorare tutti per un unico obiettivo, quello di rispettare l’articolo 27 della Costituzione, che sottolinea l’importanza della rieducazione del condannato».