
APPARIRE
Prendi due chirurgoplastici e trapiantali nella Silicon Valley americana. Poi attendi che il trittico party-bikini-griffini faccia il resto e che alla porta di un McNamara-Troy, centro di chirurgia plastica, si proponga l’antropologia di Miami affetta da stress pre-revisione: aiuto-sono un puzzle-non mi ricompongo, e giù invocazioni, l’occhio lascivo su bisturi e sala operatoria: entro e – salagadula! – il mondo cambia perché si è aggiustato, credono. Beata ingenuità e omaggi alla perfidia di chi ha inventato “Nip/Tuck”, sancendo ad ogni operazione sull’insoddisfatto di turno (la vedi, la carne, la lama che incide e il sangue che esce) il trionfo della realtà sull’auspicata perfezione. Proprio perché non ti aggiusti, e il bididibobididu è una squisita sega mentale, il corpo si trasforma in un macello, quel macello cerebrale per cui somatizzare uguale confondere causa ed effetto, e il punto di partenza è sempre lui, l’odiato involucro corporeo del quale gli stessi medici non possono fare a meno nelle brave notti di Miami (lo vedi, la carne… e vabbè, è in seconda serata, col bollino rosso d’ordinanza etc.). Il corpo schiavizza e l’asino che ci casca, perché? Perché l’asino non è libero, mai, non lo è Sean davanti alla donna che ha sposato e ai figli che ha messo al mondo, non lo è Christian davanti alla mezza dozzina di sconosciute portate a letto a settimana. Due amici, Sean e Christian, rattopparoli di professione, che ogni sera, al braccio del cittadino insoddisfatto, la manina stretta sullo splendido e affilato ammennicolo, portano il giogo dell’esteriorità, la vanità di costruire avendo come unico orizzonte l’apparenza e che a noi lasciano tanta, tantissima voglia di essenza nella potente e imperfetta realtà.
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