
Autistici, depressi, anoressici, nevrotici uccisi con l’eutanasia in Belgio

Nel biennio 2020-2021 sono state uccise con l’eutanasia 5.145 persone in Belgio. Nel 2021 rispetto all’anno precedente c’è stato un nuovo aumento del 10,4 per cento dei casi. La crescita costante delle persone soppresse con l’iniezione letale non fa più notizia, ma è considerevole: nel primo biennio di applicazione (2003-2004) erano morte “appena” 584 persone.
Eutanasia per sintomi legati al Covid
L’ultimo rapporto biennale di valutazione, il decimo, pubblicato pochi giorni fa dalla Commissione federale di controllo e valutazione dell’eutanasia, mostra chiaramente la deriva provocata da 20 anni di eutanasia legale in Belgio: non solo muoiono sempre più persone, e sempre più giovani, ma aumenta anche il numero di depressi, disabili e malati mentali che “scelgono” l’eutanasia.
Nel 2020-2021, se 3.262 persone hanno scelto l’eutanasia perché malate di cancro, 900 lo hanno fatto perché affette da polipatologie, un insieme di problemi legati comunemente alla vecchiaia.
Il peso di una vita senza significato
In un terzo dei casi, per quanto riguarda le polipatologie, il decesso non era previsto nel breve termine. In particolare, 29 di loro hanno ricevuto l’iniezione letale per sintomi legati al Covid-19.
Indicative le ragioni che hanno spinto queste persone a chiedere l’eutanasia, oltre alla sofferenza fisica: una su due non voleva più essere dipendente dalle cure, il 40% temeva anche di soffrire in futuro, il 25% percepiva la propria vita come priva di senso, altri si sentivano isolati o un peso per gli altri.
La “buona morte” per autistici, depressi, anoressici
La parte più preoccupante del rapporto è quella che riguarda i malati (91, in netto aumento) che hanno “scelto” l’eutanasia perché affetti da problemi mentali. Diciotto di loro soffrivano di depressione, 49 di demenza o Alzheimer, dieci di problemi della personalità o del comportamento, sei di nevrosi dovute allo stress, tre di schizofrenia, quattro di autismo e due di anoressia.
Alcuni di loro, precisa il rapporto, avevano cercato più volte di suicidarsi e questi tentativi «hanno fatto prendere coscienza alle persone interessate che esisteva anche un altro modo, più degno, di mettere fine ai propri giorni».
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