
L’ideologia green dell’Ue azzoppa l’automotive. Lo dice anche Draghi

Da quando l’Unione Europea ha deciso di vietare nel 2035 la vendita di veicoli nuovi con motore endotermico, legandosi mani e piedi alla tecnologia elettrica, il settore europeo dell’automotive è entrato in una profonda crisi. Le vendite di auto elettriche, rispetto al boom del 2020 e 2021, sono calate fino a ristagnare in modo preoccupante sia a causa dell’eliminazione dei ricchi incentivi da parte di molti paesi (Germania su tutti) sia a causa della diffidenza degli utenti finali.
Mentre i paesi europei faticano a costruire le infrastrutture necessarie per rendere la svolta elettrica sostenibile, la Cina sta conquistando rapidamente fette di mercato automobilistico europeo, un tempo inaccessibili al Dragone. Allo stesso tempo, i colossi europei dell’automotive, compresi i produttori di batterie come Northvolt, studiano tagli alle produzioni e al personale per restare a galla.
La Cina surclassa l’Ue sulle auto elettriche
Nel suo lungo rapporto sulla competitività europea, presentato ieri a Buxelles, l’ex premier Mario Draghi ha scritto che «il settore dell’automotive è un esempio chiave di mancanza di pianificazione da parte dell’Unione Europea e di applicazione di una politica climatica senza una politica industriale». È quello che in un’intervista a Tempi, l’inviato del Sole 24 Ore Paolo Bricco ha definito «suicidio dell’Ue».
Draghi usa un linguaggio meno colorito, ma la sostanza non cambia: se infatti l’industria cinese che domina il mercato dell’elettrico dovesse continuare a godere di ricchi sussidi statali da parte di Pechino, gli stessi che l’industria europea non riceverà mai da Bruxelles, «la produzione domestica di auto elettriche crollerebbe del 70 per cento e la fetta di mercato detenuta dai produttori dell’Ue diminuirebbe del 30 per cento».
E siccome l’industria dell’automotive impiega direttamente e indirettamente «almeno 14 milioni di europei», continua Draghi, il risultato sarebbe drammatico. L’ecatombe occupazionale potrebbe abbattersi sull’Europa prima di quanto si creda: se nel 2015 i gruppi cinesi detenevano solo il 5 per cento del mercato europeo dell’auto elettrica, l’anno scorso sono saliti al 15 per cento. Nello stesso periodo di tempo, i produttori europei sono scesi dall’80 al 60 per cento.
«Stop alle follie ideologiche»
L’ex presidente della Bce ha anche ricordato l’importanza per Bruxelles di seguire l’approccio della «neutralità tecnologica», cioè quello che l’Ue, adottando una linea ecologista radicale, ha calpestato scrivendo una legge autolesionista che vanifica anni di ricerca su carburanti alternativi e potenzialmente molto più efficienti delle batterie elettriche dal punto di vista ambientale.
La speranza è che le indicazioni di Draghi non cadano nel vuoto e anche per questo il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, proporrà il 25 settembre a Bruxelles che nel 2025 (e non nel 2026 come inizialmente previsto) si proceda a una revisione sullo stop alla produzione di veicoli endotermici entro il 2035, con lo scopo di valutarne la fattibilità. L’obiettivo è porre fine alla «follia ideologica del tutto elettrico» ottenendo almeno un rinvio.
Mancano le colonnine di ricarica
A suscitare dubbi tra i Ventisette è innanzitutto la lentezza con cui si stanno predisponendo colonnine di ricarica su tutto il territorio europeo. Alla fine dell’anno scorso erano presenti in Unione Europea 632.423 colonnine. Per raggiungere l’obiettivo fissato da Bruxelles, 3,5 milioni di unità entro il 2030, dovrebbero essere installate ogni anno 410 mila nuove colonnine.
Anche la distribuzione dei punti di ricarica esistenti rappresenta un problema. Il 61 per cento di questi è situato in tre paesi: Olanda, Francia e Germania. Il Belgio ha più colonnine di tutti i paesi dell’Europa centrale e orientale messi assieme.
Inoltre, solo il 13,5 per cento delle colonnine esistenti offre la possibilità di ricaricare velocemente le auto. Le altre sono tutte di vecchia generazione.

Rete elettrica: 584 miliardi cercasi
Il secondo enorme problema è costituito dalla rete elettrica. I veicoli alimentati a batteria rappresenteranno il 10 per cento del consumo totale di energia elettrica nell’Ue nel 2050. La domanda di energia crescerà del 60 per cento entro cinque anni.
Per questo, secondo la Commissione europea, serviranno 584 miliardi di euro di investimenti per migliorare la rete e aumentarne la capacità, così da far fronte all’aumento di domanda. I lavori, però, procedono a rilento.
Con tutti questi problemi non sorprende se ad agosto le auto elettriche immesse sul mercato sono state solo il 12,5 per cento del totale e le vendite hanno segnato un -10,8 per cento rispetto all’anno scorso. Gli europei sembrano non volere le auto elettriche e questo mette nei guai i produttori. Le regole sulle emissioni di CO2 medie delle case automobilistiche imposte dall’Ue per il 2025 lasciano solo tre possibilità ai costruttori: riuscire a fare acquistare più veicoli elettrici alla gente, produrre 2,5 milioni di veicoli in meno con tutto ciò che ne consegue in termini occupazionali e finanziari – spiega l’ad di Renault, Luca de Meo – oppure subire «multe per 15 miliardi di euro». La Cina ringrazierebbe.
Perché gli europei non comprano le auto elettriche?
Se la vendita di auto elettriche ristagna, se la Cina conquista pericolosamente quote di mercato europeo e il deficit commerciale con Pechino nel settore ha già raggiunto per l’Europa «gli 8,8 miliardi di euro», sottolinea il Financial Times, se le grandi aziende dell’automotive sono costrette a chiudere fabbriche nel Vecchio Continente, se il settore perde posti di lavoro, se l’adeguamento della rete elettrica, così come l’installazione di nuove colonnine di ricarica, procede troppo a rilento, di chi è la responsabilità?
Secondo il commissario europeo per l’Industria Thierry Breton la colpa non è dell’Unione Europea, che ha dirigisticamente fissato un obiettivo irrealizzabile e controproducente, ma della realtà che non si adegua ai target stabiliti da Bruxelles.
«La colpa della crisi è dell’Ue»
In base a questo strano ragionamento il commissario francese, vicino alla riconferma nel nuovo esecutivo di Ursula von der Leyen, ieri ha strigliato le grandi aziende dell’industria automobilistica, incontrate durante l’ultimo appuntamento della piattaforma Route35.
«Il quadro non è roseo», avrebbe detto secondo il Financial Times, e la colpa è delle aziende che non riescono a convincere le famiglie europee a investire soldi che non hanno nell’auto elettrica.
È un paradosso, ma non tutti sono disposti a farsi prendere per i fondelli dalla Commissione. Christian Duerr, leader parlamentare dei liberali, al governo in Germania con i Verdi e l’Spd di Olaf Scholz, ha dichiarato che «la ragione di questa crisi [dell’automotive] è l’assurda politica dell’Unione Europea, che intralcia il cammino dei produttori di automobili con infiniti ostacoli».
Se è così, Bruxelles dovrebbe fare un bagno di umiltà, riconoscere i propri errori e seguire la via indicata dal ministro Urso, rimandando la svolta full electric e concedendo più tempo alla tecnologia e al mercato per adeguarsi.
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1 commento
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Ho come l’impressione che personaggi del calibro di Breton spieghino e giustifichino l’euroscetticismo.