
Ballando con Skandemberg
Quella appena conclusa in Kosovo non è stata certo una guerra di religione, anche se così hanno voluto dipingerla in molti, chiamando in causa un inesistente integralismo albanese. Piuttosto si è trattato di uno scontro puramente etnico tra due popolazioni in contrasto da 1300 anni.
Il dittatore Milosevic vi si è inserito strumentalizzando nazionalisticamente il Kosovo, per instaurarsi al potere prima, e per rimanere in sella poi. L’integralismo religioso albanese esiste infatti soltanto nei comunicati di certa propaganda serba, che vuole trasformare la pulizia etnica in una specie di guerra santa contro il “pericolo islamico”. L’Albania e il Kosovo sono effettivamente le sole regioni dei Balcani, eccetto la Bosnia, dove la comunità islamica è più numerosa rispetto a quelle di altre fedi. Per precise ragioni storiche.
Alla morte dell’eroe nazionale Skanderbeg nel 1468, le fortezze delle città albanesi cominciarono a cadere una ad una davanti all’avanzata degli eserciti turchi. Si era sfaldata l’alleanza tra i principi albanesi che, guidati da Skanderbeg, riuscì a sostenere l’ondata turca per ben 25 anni. Prima cadde Kruja, la città natale di Skanderbeg, poi Skutari, allora la più grande città del Regno d’Albania. La maggior parte del paese diventò possedimento turco sotto il sultano Maometto II che avviò l’islamizzazione: vennero costruite le prime moschee e si cominciò a sentire la nenia del muezzin.
Alla conversione della popolazione contribuì la rottura delle relazioni con i centri che alimentavano la fede cristiana. Nel XV-XVI secolo i Turchi erano i padroni dei Balcani e gli stessi scambi via mare con la Repubblica Veneta erano ridotti al minimo. Proprio in questi anni cominciò l’emigrazione degli albanesi verso l’Italia, un esodo che diede origine alle colonie albanesi della Calabria, della Sicilia e della Basilicata dove, in alcuni centri, si parlano ancora oggi dialetti di origine albanese.
Inoltre una continua pressione slava e greca veniva esercitata attraverso la Chiesa Ortodossa. Nel 1500 il patriarcato serbo aveva l’autorizzazione della Porta a porre sotto la sua giurisdizione i cattolici albanesi per farne, alla lunga, degli ortodossi e minacciava di impalare chiunque avesse osato appellarsi al Papa. Tanto è vero che l’arcivescovo cattolico di Skopje, nel 1600, informava il Vaticano che gli Albanesi erano afflitti più dalla Chiesa Ortodossa che dai musulmani. Altri fattori che facilitarono la conversione all’Islamismo furono le controversie religiose serpeggianti in seno ai cristiani in tutta l’area dei Balcani, per non parlare dei vantaggi economici e fiscali: i cristiani erano tenuti a pagare per ogni maschio della loro religione una tassa annuale, oltre alle varie tasse che pagavano come i musulmani. A far entrare intere collettività cristiane nella sfera dell’Islam contribuirono poi le confraternite musulmane, in special modo quella dei Bektashi, che accoglieva nel suo credo molte usanze e riti cristiani, ancora oggi la più numerosa.
Solo nelle zone più interne del nord dell’Albania i Turchi non entrarono mai, a causa del territorio impervio e della gente particolarmente bellicosa (i Kelmendi, i Rafsh, i Dukaginit e i Mirditas).
Dal XVI secolo il paese si caratterizza così per la convivenza di diverse credenze. Donne cristiane finivano spesso spose a uomini musulmani: i figli maschi crescevano musulmani e le femmine venivano educate al cristianesimo. Il battesimo si impartiva spesso anche ai bambini musulmani e i musulmani, a volte, partecipavano alle cerimonie nelle chiese cristiane. Addirittura, nei centri abitati da maggioranza cristiana, la minoranza musulmana contribuiva al mantenimento del parroco.
Non si è mai combattuta una guerra religiosa. Tutti hanno sempre vissuto in concordia tra loro, riconoscendosi non per l’appartenenza religiosa, ma per le usanze e la lingua che li accomunava. Nonostante la presenza di tre religioni – la cattolica, la musulmana e l’ortodossa – non si è mai verificata una notte di San Bartolomeo.
Successivamente, con Enver Hoxha, alla fine degli anni 1960, l’Albania fu dichiarata un paese ateo. Tutte le chiese e le moschee vennero abbattute o trasformate in stalle e magazzini; i preti assassinati o imprigionati; l’insegnamento della religione bandito; parlare di Dio o di Allah punito con la prigione. Dunque, fino al 1990, quando con la caduta del regime è stata riconquistata la libertà di religione, almeno una generazione di albanesi è vissuta “senza Dio”. E il popolo albanese sta pagando ora le conseguenze di questa totale spoliazione, con la mancanza di punti di riferimento politici e morali. In questi ultimi anni, a dire il vero, tanti giovani di famiglia musulmana si convertono al cattolicesimo. Un fatto che si spiega con l’influenza della cultura occidentale, ma anche con la delusione delle nuove generazioni nei confronti del materialismo e un ritorno alle radici cristiane.
Ricordo un mio amico in Albania, di nome Alì, che ha tra i suoi trisavoli nomi quali Christian, Mark, Maria, tipici della cultura religiosa cristiano-cattolica. Agli inizi del ’900 la sua famiglia era infatti cristiana, in seguito si convertì all’Islam.
Mi auguro che anche i futuri momenti difficili che attendono il mio paese, la trasformazione politica, culturale e religiosa, vengano vissuti nel segno della tolleranza e che, tra noi Albanesi, non ci sia mai una notte di San Bartolomeo.
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