
Banca islamica licenzia cristiana «perché non porta il velo integrale»
Licenziata perché si rifiuta di portare il velo integrale. Il codice aziendale prevede «indumenti che riflettano le nostre tradizioni islamico-conservatrici». Queste le parole della portavoce della Jordan Dubai Islamic Bank, istituto di credito arabo che settimana scorsa, ad Amman, ha presentato sulla scrivania di Vivian Salameh, da venticinque anni assistant manager, la lettera di licenziamento. «Sono cristiana, perché mai dovrei indossare qualcosa che non è dettato dalla mia religione?» lamenta Salameh.
«La Giordania non è l’Iraq», ricorda la disoccupata. Ma la condizione dei cristiani non è rosea neppure qui, sul Golfo arabo. Su circa sei milioni di abitanti, solo il 4 per cento si dichiara cristiano: circa 240 mila persone. Soggetti liberi di professare la loro fede in privato, ma non nei luoghi di lavoro. «Eppure continuiamo a compiacerci delle nostre libertà personali e religiose sancite dalla Costituzione» rivela l’inquisita, nonostante il ministero del Commercio e dell’industria giordano dia ragione alla banca. Il contratto, infatti, prevedeva l’impiego di un’uniforme con tanto di «pezzo di stoffa bianca, alla moda, che mostra la linea dei capelli».
Il codice di vestiario è entrato in vigore nel marzo del 2010, quando la Jordan Dubai Islamic Bank ha acquistato i titoli della Jordan’s Industrial Development Bank, dove lavorava Vivian Salameh. Quest’ultima si è sempre dichiarata contraria al velo imposto dalla politica societaria, ma soltanto due settimane fa aveva confermato ai superiori la propria ferma decisione: «Non mi coprirò il capo». Il risultato? Licenziata in tronco. E adesso si aprono le vie legali per cercare di risolvere la situazione.
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