Barbarie pakistana, Huma e le altre spose bambine

Di Caterina Giojelli
10 Dicembre 2019
L'inchiesta sulle mogli vendute alla Cina è la punta di un iceberg. Intervista a Shahid Mobeen, docente pakistano della Lateranense

Ora Abdul Jabar dovrà comparire in aula. La coraggiosa Tabassum Yousaf, avvocato che segue il caso di Huma Younas affidatole dalla Commissione Giustizia e Pace dell’arcidiocesi di Karachi ne ha chiesto l’arresto ieri: per cinque volte era stato fatto ricorso al tribunale e per cinque volte l’uomo, libero su cauzione, e i suoi famigliari non si erano presentati a deporre. Ieri si è tenuta la sesta udienza e per la sesta volta Jabar ha disertato, da qui l’emanazione da parte del tribunale di Karachi di un nuovo mandato di cattura e la nuova udienza fissata per il 18 dicembre, «sapremo allora se il caso di Huma potrà risolversi finalmente nel rispetto della legge e la ragazzina potrà tornare a casa», spiega a tempi.it Shahid Mobeen, docente pakistano della Pontificia Università Lateranense.

APPELLO PER LA BAMBINA RAPITA A OTTOBRE

La vicenda della quattordicenne, rapita il 10 ottobre scorso da tre uomini, forzatamente convertita all’islam e data in sposa a uno dei suoi rapitori (Jabar, appunto), sta trovando grande eco sui giornali di tutto il mondo. Il 7 dicembre i suoi genitori e la nonna hanno diffuso un appello a papa Francesco, alla comunità internazionale, al politico pakistano Bilawal Bhutto Zardari (figlio dell’ex primo ministro Benazir Bhutto, scomparsa nel 2007), al premier del Paese, al capo delle forze armate, chiedendo un intervento urgente per la liberazione di Huma. Un appello rivolto anche al presidente della Corte suprema, «la stessa Alta Corte a cui i rapitori hanno presentato un ricorso chiedendo ai giudici di liberare la ragazza dalla patria potestà dei genitori sostenendo falsamente che fosse maggiorenne. Ma “come può essere maggiorenne una bambina nata nel 2005, un anno dopo il nostro matrimonio?”, ha dovuto ribattere incredula la madre, dopo aver ricevuto un video in cui la ragazza, spaventata, affermava di avere seguito volontariamente quello che è diventato suo marito per la legge islamica». A chiedere la restituzione di Huma non sono solo i suoi famigliari e la Chiesa pakistana: moltissimi tra musulmani e cristiani hanno manifestato pacificamente e chiesto aiuto al governo, coinvolgendo il Pakistan Tehreek-e-Insaf (Pti) e il ministro per i Diritti umani Shireen Mazari.

VIOLENTATE, CONVERTITE E SPOSATE A FORZA

«Il fenomeno dei rapimenti di ragazze giovanissime, costrette a convertirsi e sposare uomini molto più vecchi di loro, è molto frequente in Pakistan – spiega Mobeen -. Ogni anno almeno mille ragazze come Huma vengono rapite, violentate, obbligate a convertirsi all’islam e costrette a sposare i loro aguzzini». Lo ha denunciato pochi mesi fa la stessa Tabassum Yousaf nel corso della conferenza organizzata a Karachi insieme ad Aiuto alla Chiesa che Soffre alla vigilia della giornata per le minoranze, celebrata l’11 agosto in Pakistan. La vita per le minoranze religiose in Pakistan è segnata da violenze, discriminazioni, abusi dei diritti umani fondamentali: soprattutto nelle zone rurali ragazze poco più che adolescenti finiscono per alimentare quel traffico di esseri umani sul quale l’Associated Press ha aperto una spaventosa finestra nelle ultime settimane. Sono 629 le ragazze e donne provenienti da tutto il Pakistan che sono state vendute come spose a uomini cinesi e portate in Cina. I casi sono stati registrati tra gennaio 2018 e aprile 2019, ma la polizia ha ammesso che «questo traffico redditizio continua». Protetto da anonimato, un alto funzionario ha aggiunto che molte delle donne coinvolte sono state sottoposte a trattamenti per la fertilità, ad abusi sessuali, costrette alla prostituzione e in un caso si parla anche di prelievo di organi.

LA TRATTA DELLE MOGLI VENDUTE AI CINESI

Tra gli “intermediari” l’Ap cita anche alcuni pastori di piccole chiese evangeliche e un religioso musulmano che gestisce un ufficio matrimoniale dalla sua madrassa di Lahore, si parla di un compenso per i broker ricevuto dallo sposo tra i 4 e i 10 milioni di rupie, e per la famiglia di 200 mila rupie (poco più di 1.100 euro). «La verità è che nelle zone più povere del Punjab famiglie cristiane poverissime, ma anche musulmane, sono diventate l’obiettivo degli “intermediari” di un traffico internazionale. So da testimonianze di attivisti in quella zona che alcune di loro ingannate delle promesse di una vita migliore acconsentono a dare in sposa le loro ragazze a quelli che credono ricchi cristiani convertiti anche senza compenso. Mariti che una volta tornati in patria finiscono per maltrattarle o costringerle alla prostituzione».

«ASIA BIBI È INNOCENTE MA NESSUNO È AL SICURO»

Islamabad non è disposta a rovinare i rapporti economici con Pechino: a ottobre, i giudici di Faisalabad hanno assolto 31 cittadini cinesi accusati di traffico di esseri umani. La madre di Huma da parte sua ha denunciato l’inerzia della polizia e le minacce ricevute dopo la denuncia. La speranza è che la comunità internazionale possa giocare un ruolo fondamentale nella richiesta di verità e giustizia sulla tratta delle mogli così come sui casi di conversioni forzate: «Qualcosa è accaduto dopo la sentenza a favore di Asia Bibi, assolta definitivamente dalla ingiusta condanna a morte per blasfemia e poi espatriata. I fondamentalisti sono più cauti nel denunciare le minoranze ma resta un vulnus nella legge che continua a mettere a repentaglio centinaia e centinaia di Asia Bibi ancora imprigionate in Pakistan. Asia Bibi è innocente ma chi pagherà per i suoi dieci anni di ingiusta dentenzione? Chi pagherà per le accuse infamanti e il sangue versato per la sua liberazione?».

Duecento Asia Bibi condannate per blasfemia, mille Huma convertite con la forza, oltre seicento mogli comprate dalla Cina sono solo i casi denunciati, solo la punta di un iceberg tra le migliaia di storie di ordinaria persecuzione in Pakistan.

Foto Ansa

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