BELLA DESTRA
Nella prima pagina di due numeri fa, il direttore del settimanale di cultura Il domenicale, Angelo Crespi, alza il suo lamento perché dopo anni passati a inseguir la “bella destra” gli sembra di trovarsi con un pugno di mosche. Racconta, con l’accento commosso di chi ha vissuto, l’alacrità di un gruppetto di giovani riuniti intorno a Montanelli, il cui esponente di spicco, Umberto Moscato, morì a 26 anni. Quel gruppetto cercava tra i libri di Spengler, Del Noce, Prezzolini, etc le radici di un impegno culturale e politico in una destra “bella”. Si chiamavano Controcorrente. Poi vennero scissioni, tra liberali, cattolici, e altri. E venne un periodo, questo, in cui secondo Crespi non si trovano giovani disposti ad accreditare un maestro tra intellettuali non schierati a sinistra. E conclude, segnalando la “solitudine” culturale e politica in cui si sono levate le posizioni di Pera, Ferrara e Fallaci. Crespi fa un giornale coraggioso e ha in buona parte ragione. Ma trovandomi tra coloro che hanno invece valorizzato e dialogato su quelle posizioni aggiungo: il problema non è nei termini di “destra” e “sinistra”. L’idea di una “bella” destra è figlia di un complesso dovuto alla sudditanza di destra brutta brandita dalla sinistra. Io non mi sento né di destra né di sinistra. Neanche di una destra brutta o bella. Ma le questioni che si agitano nelle posizioni di Pera, Fallaci, Ferrara e altri non appartengono a uno schieramento riducibile ai termini destra-sinistra. Riguardano la ragione, il senso religioso, il valore della democrazia. Qui ci sono risposte di uomini che stanno a destra come di uomini che stanno a sinistra. Uno schema parlamentare per la cultura non tiene. Perseguirne l’applicazione è uno sforzo vano, e nemmeno tanto utile. Che importa dirsi di destra, se uno non capisce che desiderio religioso di vita infinita si agitava in Marinetti, o ugualmente nel socialista Péguy?
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