Benedetto fa sentire i cattolici di nuovo Chiesa dopo anni di fede solitaria postconciliare

È una grande consolazione per un cattolico all’antica ascoltare il Papa che scandisce i testi dei santi Padri, mercoledì dopo mercoledì. Benedetto XVI torna a farci sentire una realtà che, dopo la grande tempesta postconciliare, avevamo interamente smarrito: la Chiesa che crede, unico corpo di cui siamo tutti membra. La nostra fede è la fede della Chiesa e vive non in modo solitario ma come un atto di questa grande realtà che va oltre lo spazio e il tempo e canta con una voce sola. Io credo che i cattolici nati dopo gli anni Sessanta non abbiano potuto conoscere il sentimento di vivere la fede della Chiesa come propria, che è la dimensione della vita eterna che diventa percepibile dal cristiano nel tempo: è questo respiro nella Chiesa che ci fa capire come esso possa continuare oltre la nostra morte corporale. Ed è perché manca questo respiro comune in cui l'”io” è un “noi” e il “noi” è un “io” che è così difficile oggi credere nella vita eterna.
Non so se fosse inevitabile scatenare la tempesta che negli anni Sessanta allontanò la Chiesa dall’esperienza dei credenti, di-
sperdendo di conseguenza il sentimento della vita eterna. Quel sentimento non si è più ricostituito, e oggi la solitudine che grava sul mondo è data anche dalla tristezza dei cattolici che hanno perso, con il sentimento di essere Chiesa, la via che guida alla vita eterna. Ma quando sento i santi Padri scorrere come semi del rosario nei discorsi del Papa, avverto di nuovo il respiro perduto nella Chiesa come mio respiro e vivo la pace come se la grande tempesta non fosse mai accaduta. Questo è Benedetto XVI, e forse solo chi sa cosa ha perduto perché lo aveva conosciuto comprende veramente quel che accade oggi, e cioè il ritorno del tempo eterno nella liturgia cosmica che è la vita della Chiesa.
Ho veramente sofferto quando ho sentito chiamare la Chiesa popolo di Dio: capivo che stava avvenendo un radicale aggiornamento del linguaggio ecclesiale, che lo metteva in sintonia con il tempo ma gli faceva perdere il sentimento dell’eterno. “Chiesa universale del popolo di Dio”, infatti, è un termine che ricorda l’Internazionale socialista. Ho stimato molto l’Internazionale (ho cantato con gioia il suo inno quando ero socialista), ma il suo non è il linguaggio che si addice alla Chiesa. Vedo che il tempo, comunque, discerne gli eventi, anche gli eventi conciliari, e così l’ombra del modello politico dell’Internazionale sul popolo di Dio sparisce dal magistero, dall’esperienza dei cristiani, dalla vita comune. Quello che era stato di fatto allontanato, lentamente comincia a ritornare. E forse con il passare del tempo ritornerà anche quell’esperienza della vita eterna che si ha nel sentire l'”io” e il “noi” ecclesiale come un unico respiro del corpo di Cristo.
Anche il Corriere della Sera si chiede come mai tanta gente vada da papa Ratzinger, anche oltre il carisma del grandissimo Giovanni Paolo II che ha reso possibile mantenere la continuità della Tradizione. Oggi, con Benedetto XVI, quella Tradizione noi non la pensiamo, cominciamo a viverla.
Come posso giustificare la mia fede da solo? Come posso credere che, in questo piccolo pianeta blu, si sia incarnato il figlio di Dio creatore di quell’immenso universo di cui ora apprendiamo le misure sperimentando il potere della nostra mente? Come possiamo credere a Gesù risorto quando i racconti della Resurrezione sono così brevi e rapidi e rappresentano solo esperienze fugaci, non la continuità della vita di Cristo che noi riceviamo? Da soli non siamo capaci. Possiamo credere solo se è la Chiesa a pronunciare in noi l’atto di fede. Ecco l’esperienza che è mancata ai nati dopo gli anni Sessanta. Si può professare la fede anche da soli, ma quello che era stato dato a noi delle generazioni precedenti era l’esperienza di non essere soli, l’essere Chiesa che vive l’eterno in noi. La fede non era allora un’attività del singolo e della sua volontà isolata, era un respiro che ci avvolgeva quietamente, che ci restituiva alla comunione profonda in cui vivevamo. Papa Benedetto è il segno che questa esperienza ci sarà restituita, anche se ancora non vedo ritornare comune quello che era comune.

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