
Bocciata una riforma forte, promosso un governo impotente
C’erano molte buone ragioni per votare “sì” alla riforma costituzionale prodotta dalla maggioranza Berlusconi. Chi dice che questa Costituzione è una buona Costituzione non dice la verità. Essa è nata nel clima politico successivo alla Seconda guerra mondiale e alla fine dei fascismi, e, poiché il fascismo era sorto con un colpo di Stato fatto da un presidente del Consiglio in carica, l’idea fu quella di dare tutti i poteri al Parlamento e di non legiferare sui rapporti tra Parlamento e governo. In Francia una Costituzione analoga a quella italiana fu cancellata dall’avvento al potere del generale De Gaulle, che fondò la V Repubblica, quella che ha permesso al paese di comportarsi come una grande potenza, nonostante non ne avesse i titoli né sul piano economico né sul piano militare. La nostra riforma cambia la Carta fondamentale italiana nella medesima direzione.
Ma, come ha detto Berlusconi, occorreva dire “sì” anche per dire “no” a Prodi. Il governo Prodi si rivela a un tempo impotente e autoritario: come ogni governo di sinistra aumenta le tasse in molti modi, dalla revisione del catasto ai ticket sanitari, dalla tassazione delle rendite alla rimodulazione dell’Irpef. Blocca le grandi opere (a cominciare dalla Tav in Val di Susa), fa dell’Italia uno spazio aperto abrogando di fatto le leggi del governo Berlusconi e aprendo indiscriminatamente le porte all’immigrazione clandestina, rendendo incontrollato il permesso di soggiorno, rivedendo i Cpt. Nulla è previsto per rimuovere i veti delle regioni rosse ai rigassificatori. Nessuna misura è stata enunciata per ridurre la spesa pubblica.
Il governo di sinistra intende colpire proprio quella parte della società italiana fatta di piccole e medie imprese e iniziative individuali o collettive su cui si fonda l’economia del paese. La riduzione del cuneo fiscale beneficerà qualche grande industria ma è destinata a pesare poco proprio su quelle piccole e medie. Il governo esprime l’alleanza tra i poteri forti (finanziari, industriali, burocratici) e la potenza d’urto della magistratura allo scopo di produrre un regime in cui tutto ciò che di creativo è nella società italiana deve essere oppresso e conculcato. Non a caso rinasce la questione settentrionale, sorta negli anni Novanta proprio per la pressione della partitocrazia su quella parte produttiva dell’Italia su cui si basava la competitività internazionale del sistema. Avendo prevalso il “no”, la linea burocratica e statalista unita alla pressione in senso radicale della sinistra antagonista porterà il nostro paese a una grave crisi. Quella spinta alla crescita data al sistema Italia dal governo Berlusconi sarà interamente cancellata. Se Berlusconi ha drammatizzato il voto sulla riforma costituzionale, è perché il governo è veramente una minaccia per il futuro del paese: il successo del “no” sarà una licenza per un governo che fa male.
bagetbozzo@ragionpolitica.it
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