Bomba a messa: torna l’incubo del terrorismo islamico a Marawi

Di Leone Grotti
05 Dicembre 2023
Lo Stato islamico nel 2017 tentò di fare della città dell'isola di Mindanao, nelle Filippine, la Mosul del Sudest asiatico. Allora furono bruciate chiese e decapitati cristiani. Ora torna la paura
Attentato contro i cristiani durante la Messa a Marawi, nell'isola di Mindanao, Filippine

Dopo sei anni, è tornato l’incubo del terrorismo islamico a Marawi, città delle Filippine di 200 mila abitanti, prevalentemente musulmani, nell’isola meridionale di Mindanao. Là dove l’Isis tentò di impiantare nel 2017 la sua roccaforte per fare di Marawi la Raqqa o la Mosul del Sud-est asiatico, occupando la città per cinque lunghi mesi, lo Stato islamico è tornato a seminare terrore facendo esplodere una bomba nella palestra dell’Università statale di Mindanao, dove si stava tenendo la messa per gli studenti cattolici in occasione dell’inizio dell’Avvento.

L’Isis rivendica l’attentato

Nell’esplosione domenica sono morti quattro studenti, un altro centinaio sono rimasti feriti. L’Isis ha rivendicato l’attentato con un messaggio su Telegram: «I soldati del Califfato hanno detonato un esplosivo durante un grande raduno di cristiani nella città di Marawi».

Il presidente filippino, Ferdinand Marcos Jr ha condannato l’attentato «insensato e odioso», incolpando «terroristi stranieri» e assicurando che «i colpevoli saranno portati davanti alla giustizia».

Sessant’anni di terrorismo islamico a Mindanao

La violenza a Mindanao non costituisce certo una novità, essendo l’isola teatro di episodi di lotta armata fin dal 1969. Gruppi come il Moro National Liberation Front (Mnlf) hanno sempre cercato più autonomia per i residenti musulmani dell’isola.

Un accordo venne raggiunto con il governo nel 1996, ma 12 mila ribelli lo rigettarono formando il Moro Islamic Liberation Front (Milf). Dal gruppo, dopo rinnovati tentativi di raggiungere la pace, si staccò il gruppo terroristico Abu Sayyaf, con l’obiettivo di instaurare un Califfato sull’isola.

Fu proprio il leader del gruppo Isnilon Hapilon, che nel 2014 giurò fedeltà all’Isis, a lanciare l’invasione di Marawi insieme a un’altra banda di terroristi islamici, Maute, dando vita a un conflitto con l’esercito filippino durato ben cinque mesi e durante il quale egli stesso trovò la morte.

Nonostante l’accordo del 2018 tra Milf e autorità governative, gruppi terroristici come il Maute continuano a combattere anche oggi per fare di Mindanao uno Stato islamico.

Le persecuzione dei cristiani a Marawi

Nel 2017 i terroristi islamici, che si preparavano da anni alla conquista della città scavando tunnel sotterranei e ammassando armi e cibo in scuole e moschee, lasciarono un marchio indelebile sulla vita dei cristiani della città, che furono brutalmente presi di mira.

Molti furono decapitati al grido di «Allah Akbar», altri rapiti insieme al sacerdote Chito Suganob, mentre la cattedrale della città fu saccheggiata, profanata e bruciata.

Non tutti i musulmani però erano d’accordo con i metodi e gli obiettivi dell’Isis, tanto che centinaia di cristiani furono nascosti e salvati dai vicini musulmani.

Musulmani e cristiani condannano l’attentato

L’attentato di domenica ha risvegliato vecchi fantasmi nelle Filippine. L’associazione che riunisce gli imam del paese ha condannato la violenza citando il Corano, sottolineando che viola «ogni norma umana e islamica».

La Conferenza episcopale delle Filippine ha condannato ugualmente l’attacco, invitando anche tutti i fedeli a «non cercare vendetta». Ora tocca al governo di Ferdinand Marcos Jr evitare che un caso che appare isolato diventi una nuova campagna di persecuzione.

@LeoneGrotti

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